CI VOLEVA DI MAIO PER CADERE NEL TRAPPOLONE DI SALVINI
“NON POSSO SEDERMI CON BERLUSCONI”, MA INTANTO HA PUBBLICAMENTE ACCETTATO I VOTI DEL CAV
Quando Luigi Di Maio esce dal Salone degli specchi di Palazzo Giustiniani e si infila con i suoi nell’ennesimo vertice di giornata, prende in mano lo smartphone.
Il numero di Salvini è fra quelli chiamati in giornata. Lo pigia.
E gli spiega chiaro e tondo che le condizioni poste per iniziare un percorso di governo sono inaccettabili.
Poco prima, davanti alle telecamere, aveva declinato l’ennesimo no a un esecutivo con Silvio Berlusconi. Sciorinando una frase, fra tutte, che segnalava il profondo travaglio di questi giorni: “Non possiamo andare oltre. Per la tenuta di una forza politica come la nostra ci sono passi che non possiamo fare”.
Il ragionamento è semplice e ha una sua logica: il Movimento 5 stelle è partito dalle barricate, dal rifiuto tout court di trattare con chicchessia, dai “Rodotà Rodotà “, ed è arrivato a proporre un patto di governo a due acerrimi nemici come Pd e Lega. Più in là di così il leader politico stellato non può andare.
Messa così non fa una piega. Ma occorre riavvolgere il nastro di una lunga giornata per cogliere la frustrazione di un traguardo che sembrava a un passo ed è sfumato in poche ore.
E ripartire dalla prima telefonata fra i due leader, a metà mattina. Quando i 5 stelle hanno intravisto aprirsi un portone. “Sediamoci a un tavolo, io e te – il ragionamento dei vincitori delle elezioni – e facciamo partire la macchina del contratto”.
L’idea era quella di accantonare in un primo momento il nodo Forza Italia e quello della premiership, intavolare una discussione che non mandasse a gambe all’aria il tentativo di Elisabetta Casellati, e prendere qualche altro giorno di tempo per trovare un punto di caduta accettabile per tutti.
Con la prima vera apertura del Movimento a Berlusconi, che per il momento si fermava al non rifiuto di un appoggio esterno.
Quando intorno alle 15.00 il segretario del Carroccio è uscito dall’incontro con la presidente del Senato, la war room di Di Maio ha capito che qualcosa non andava. Perchè, Giorgia Meloni alla sua destra e Silvio Berlusconi alla sua sinistra, Salvini ha sì menzionato il tavolo programmatico da far partire, ma non non ha esplicitato l’esclusività dei due capi politici nel potercisi sedere.
La fibrillazione è stata tale che l’incontro con l’esploratrice quirinalizia è slittato di quasi un’ora.
Il gelo quando la Casellati ha esplicitato le condizioni poste dal centrodestra: tavolo del programma a quattro, presidente del Consiglio indicato dalla coalizione avversaria, nessun veto a ministri di Forza Italia.
Una doccia fredda. Tutt’altro film da quello passato sugli schermi stellati fino all’ora di pranzo.
Che ha costretto Di Maio a un discorso piuttosto sulla difensiva: “Non ci si può chiedere di ricominciare su piani che non abbiamo mai condiviso – ha spiegato – Per noi è molto complicato sederci con gli altri tre interlocutori, ci siamo sempre detti disponibili a farlo con Salvini”. Si è spinto fino alla “non ostilità ” ai voti di Fi e Fdi, “ma il rapporto deve essere tra noi e la Lega”.
Poi il riferimento soffertissimo alla tenuta del Movimento. E la chiosa: “Nulla si chiude, andremo avanti”.
Verso dove, non è chiaro.
Si rincorrono i boatos che vogliono tutte le carte puntate sul Pd. Ma se era difficile oggi, da domani diventa ancora più complicata dopo la frana che si è abbattuta al fotofinish sulla strada di un governo gialloverde.
Tuttavia è l’ultima puntata disponibile nel lotto delle scommesse a 5 stelle. Una scommessa vera. Tanto che c’è ancora chi sottolinea: “L’ultimatum di Luigi a Salvini scade domenica, c’è ancora tempo”. Un altro film. Quello precedente e superato.
Ora serviranno gli effetti speciali.
(da “Huffingtonpost”)
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