CIAO GIORGIO, MAESTRO E GRANDE INTELLETTUALE, “PERDENTE DI SUCCESSO”
IL PASSATO NELLA RSI, IL CARCERE, LA VITA SUL PALCO… LA PASSIONE PER SHAKESPEARE, MILLER E YOURCENAR PORTATI SUI PALCOSCENICI DI MEZZO MONDO
Giorgio Albertazzi, il “perdente di successo”, è morto la scorsa notte a 92 anni. Faceva l’attore Albertazzi, in un’accezione così ampia del termine che forse nessuno mai in Italia è riuscito.
Recitava Albertazzi, recitava ogni opera, ogni autore, ogni cambio di scena. Si chiama “arte del palcoscenico”. Significa essere nati per vivere sopra un palco.
L’architetto Albertazzi, la tesi su Frank Llyod Wright, “gli occhi di Burt Lancaster”, due anni di galera per aver combattuto tra i repubblichini.
Episodio mai negato (“ho pure salvato 19 ebrei”), ma nemmeno mai schifato, il ragazzo di Fiesole, classe ’23, depone nelle retrovie fez, pugnale e moschetto e diventa attore.
“E’ mancato un grande italiano — ha detto Matteo Renzi durante la cerimonia di inaugurazione della 15/ma Biennale Architettura — che ha fatto la storia del teatro e parzialmente del cinema, Giorgio Albertazzi. Vorrei che arrivasse un messaggio di affetto a questo artista che è stato contemporaneamente classico e controcorrente”. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commentato la scomparsa dell’attore, “uno dei massimi interpreti del teatro e del cinema italiano contemporaneo. Attore versatile e innovativo — prosegue il Capo dello Stato -, ha saputo unire nella sua lunga carriera tradizione e modernità . Le sue interpretazioni dei grandi classici restano una pietra miliare nella storia dello spettacolo. Albertazzi, che ha dedicato al teatro l’intera esistenza, è stato punto di riferimento e maestro per generazioni di attori e registi”.
Per Albertazzi — come per molti altri — è sempre il caso a determinare le traiettorie della vita. Un bus, un incontro fortuito, le belle forme di un’amica teatrante, il provino per un teatrino di Settignano.
La battuta: “Signora marchesa, c’è l’ambasciatore del Perù che vorrebbe essere ricevuto”. “La recitai da doppiatore e senza accento fiorentino”, spiegò all’epoca l’attore. Tracciato il solco si cominciano a gettare le sementi.
Shakespeare, Sofocle, Arthur Miller. Le rappresentazioni in oltre 50 anni di carriera non si riescono più a contare da quante sono diventate.
Albertazzi è divo fin da subito. Star in bianco e nero che imposta morbidamente la voce e ne modula timbro e ritmo come forse soltanto due sobri ed eleganti animali da palcoscenico come Vittorio Gassman ed Enrico Maria Salerno.
Fateci comunque caso, anche chi tra gli under 40, o addirittura gli under 30, non è mai stato a teatro ad ascoltare Albertazzi, ne riconosce la voce, il canto, la modulata sinfonia di pause, accelerazioni e sottolineature.
A differenza di Gassman e Salerno, però, Albertazzi non devia deciso per la strada del cinema. Percorso e palco che avrebbe voluto seguire, si sa.
L’amico Zeffirelli che lo presenta a Visconti, i brividi erotici e le scintille tra i due, con Luchino che lo insegue con eleganza aristocratica e lui che si lascia sedurre e poi rifiuta.
L’ha sempre dichiarato Albertazzi che le parti di Farley Granger in Senso e di Mastroianni in Vaghe stelle dell’orsa dovevano essere sue.
Eppure qualcosa non va nel libertino Giorgio. La scuderia viscontiana non fa per l’amatore dannunziano che mise in fila muse, mogli, amanti e fan, tra petali di rosa e notte infuocate con le strofe del Vate. Bianca Maria Toccafondi, Elisabetta Pozzi, Mariangela D’Abbraccio.
Discorsi a parte per il sodalizio affettivo e professionale con Anna Proclemer e con la nobildonna Pia de Tolomei sposata nel 2007 con rito civile, più di trent’anni di differenza tra i due.
Nel 1959 è il principe Myskin in tv ne L’idiota di Dostoevskij diretto da Giacomo Vaccari. La faccia diventa popolare oltre la voce.
Alain Resnais, o meglio Alain Robbe-Grillet che scrisse la sceneggiatura, lo vogliono come protagonista de L’anno scorso a Marienbad (1961). Film chiave per comprendere tanti sperimentalismi anni sessanta, ma anche notevole insuccesso di pubblico che decretò subito la parabola discendente cinematografica dell’attore fiorentino.
Una piccola parte in Eva di Joseph Losey (1962) e il ritorno definitivo al teatro e al teatro sceneggiato per la tv: la regia di Jekyll nel 1969 tratto in modo originalissimo e anticonvenzionale da Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson; di nuovo sul palco per la consacrazione internazionale al Royal National Theatre di Londra; ancora sul primo canale La vita di Dante.
Instancabile, irrefrenabile, Albertazzi non hai mai fatto pause di riflessione dal palcoscenico.
Nessuno anno sabbatico ma l’anelito divertito della morte in scena (“come Moliere”). Destra o sinistra, un po’ più di centrodestra a dire il vero come quando si candidò al Parlamento perdendo nel ’96 a Tradate per il Polo delle Libertà , ma sempre un teatro, un teatrino, quattro assi di palco da salvare.
Veltroni o Alemanno, nessuna differenza. C’era da tenere in vita l’arte.
E in questo si spese sempre, comunque, senza indietreggiare di fronte a nessuno.
Poi chissà , forse per un afflato di vanità , a quasi 90 anni saltella e danza a Ballando sotto le stelle. Alla terza puntata abbandona per i troppi impegni teatrali. Già previsti, disse la Carlucci.
“Avrei vinto io”, spiegò lui.
Perdente di successo, Giorgio Albertazzi.
Davide Turrini
(da “il Fatto Quotidiano”)
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