COME PERUGIA DOPO SETTANT’ANNI PASSA AL CENTRODESTRA GRAZIE A UN CANDIDATO PER CASO
REATI, DROGA, CRISI ECONOMICA E UN SISTEMA POLITICO MORIBONDO
Le mura di Perugia sono crollate.
Per la prima volta nella storia della Repubblica la città non sarà amministrata dalla sinistra, nemmeno nella forma edulcorata del Pd.
Nella notte di domenica, infatti, è accaduto l’imponderabile: Andrea Romizi – giovane avvocato, due mandati da consigliere comunale per Forza Italia, candidato sindaco dall’intero centrodestra perugino per la sola ragione che erano convinti di non avere speranze di vittoria – ha stracciato al ballottaggio il sindaco uscente, Wladimiro Boccali, tesserato Pd ma dotato di coalizone che andava da Rifondazione e Sel ai “moderati”.
I due s’erano presentati al secondo turno staccati di venti punti: il 25 maggio Romizi aveva preso 23.375 voti (26,3%), Boccali 39.582 (46,55%).
Due settimane è la situazione, letteralmente, si rovescia: il giovane candidato del centrodestra mette assieme 35.469 consensi, l’oramai ex sindaco 25.666 (58,02 contro 41,98%).
Tredicimila voti che passano da una parte all’altra in neanche 15 giorni: persi con l’astensionismo da un lato, guadagnati nell’elettorato grillino (16mila voti al primo turno) e delle liste civiche (altri 8mila).
Per l’antica e bellissima cittadina da cui Aldo Capitini fece partire nel 1961 la marcia per la pace verso Assisi è uno choc: un repentino, quanto inaspettato, cambio di regime. Romizi, infatti, non solo è di centrodestra, ma è un estraneo per il suo stesso partito, che in questi anni s’è accodato al pervasivo sistema di potere messo in piedi dal partito (coi suoi vari nomi), ritagliandosi spazi di dignitosa sopravvivenza, per così dire, quanto più sprofondava nell’irrilevanza politica.
Romizi è l’uomo nuovo anche rispetto ai suoi, persino antropologicamente lontano com’è dallo stereotipo tanto del candidato “Mediaset” che del notabile conservatore medio-italico: in questo senso è davvero, come dicono i fans, il Matteo Renzi di Perugia.
Questo sconvolgimento, per quanto inaspettato, non è però senza padri.
Il modello Perugia è moribondo da tempo e su più fronti.
Uno, forse il più rilevante per chi ci abita, è quello della sicurezza. Qualche mese fa un reportage di Panorama a firma Riccardo Parisi l’ha ribattezzata “Gotham City”, l’oscura città di Batman: “Perugia è una città violenta, una delle più pericolose d’Italia secondo i dati del ministero degli Interni: criminalità , droga e degrado le hanno strappato la serenità di cui aveva goduto fino a una quindicina d’anni fa”.
La descrizione prosegue col centro storico desertificato (i perugini che ci abitano sono passati in trent’anni da 30mila a seimila) e in mano a bande di spacciatori nordafricani o sudamericani, cui si somma il relativo “record nazionale di morti per droga: 36 ogni anno” col più alto indice morti per overdose/popolazione.
Al di là delle legittime paure dei perugini, esagerate che siano o meno, non è di sole ossessioni securitarie che si nutre questo sacrificio rituale del centrosinistra a Perugia. Conta altrettanto anche l’implosione dell’intero modello di sviluppo della città che trascina con sè quello di potere: l’alleanza tra partitone, costruttori (Coop in testa), industria e università non basta più.
Le grandi imprese, tipo Perugina e Ellesse, che tra gli anni Settanta e Ottanta garantirono sviluppo alla città grazie anche all’indotto del commercio, sono passate in mani straniere perdendo i centri direzionali e impoverendo l’area.
Il mercato immobiliare langue, laddove non tracolla, e mette in crisi uno dei tradizionali poteri della città .
Anche le università non risultano più attrattive: gli studenti erano circa 36mila nel 2004, dieci anni dopo ce ne sono all’ingrosso diecimila in meno.
Pure il settore pubblico – e non è solo un problema di Perugia – non è più in grado di garantire alla politica un controllo accettabile del territorio.
L’intero sistema socio-politico è insomma in discussione e l’elezione di Andrea Romizi, più che la cura, ne è il sintomo più fragoroso dopo l’arresto della ex governatrice Maria Rita Lorenzetti, zarina dalemiana in regione, nel settembre scorso spedita ai domiciliari nell’ambito di un’inchiesta sul passante Tav di Firenze (in quel momento Lorenzetti era presidente Italferr, una società di Ferrovie).
I fatti si riferiscono ad un periodo successivo alla presidenza dell’Umbria di Lorenzetti, ma portano in chiaro quel sistema di rapporti tra politica, imprenditoria e burocratja centrale e regionale che, reati o no, i cittadini di Perugia (e di Spoleto, e di Livorno, eccetera) hanno messo domenica nel mirino.
Marco Palombi
(da “il Fatto Quotidiano”)
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