COME SI E’ ARRIVATI AL CESSATE IL FUOCO DI 30 GIORNI TRA RUSSIA E UCRAINA? DECISIVI SONO STATI IL MASSICCIO LANCIO DI DRONI DI KIEV SU MOSCA, CHE HA COSTRETTO A CHIUDERE TRE AEROPORTI CAUSANDO TRE VITTIME CIVILI, E LA MEDIAZIONE DI BIN SALMAN CON TRUMP
E’ BASTATO L’IMPEGNO MILITARE DI MACRON E STARMER PER DIMOSTRARE A PUTIN CHE KIEV PUÒ ANCORA FARE MOLTO MALE ALLE FRAGILI DIFESE RUSSE: CON I CACCIA MIRAGE FRANCESI L’UCRAINA PUÒ ANDARE AVANTI ALTRI SEI-OTTO MESI: UN PERIODO INACCETTABILE PER TRUMP… ORA CHE MOSCA SI MOSTRA “SCETTICA” DAVANTI ALLA TREGUA, IL TYCOON E IL SUO SICARIO, JD VANCE, UMILIERANNO PUBBLICAMENTE ANCHE PUTIN, O CONTINUERANNO A CORTEGGIARLO?… LA CINA ASPETTA AL VARCO E GODE PER IL TRACOLLO ECONOMICO AMERICANO: TRUMP MINIMIZZA IL TONFO DI WALL STREET (PERDITE PER 1000 MILIARDI) MA I GRANDI FONDI E I COLOSSI BANCARI LO HANNO GIÀ SCARICATO
A favorire un’accelerazione verso il cessate il fuoco in Ucraina ha contribuito una serie di fattori: il primo è stato il massiccio lancio di droni ucraini su Mosca.
Un attacco che ha ucciso tre persone, ha portato alla chiusura di tre aeroporti e soprattutto ha colpito infrastrutture strategiche, come la raffineria petrolifera di Novokuybyshevsk.
Soprattutto, il lancio di droni ha dimostrato, in barba alle dichiarazioni filo-putiniane di Varacciolo e Travaglio, a Mosca come Kiev non solo non sia stata piegata, ma anzi possa fare molto male alle fragili difese, sia militari che economiche, della Russia.
Senza contare che la macchina bellica agli ordini del Cremlino, pur sbandierando conquiste di villaggi nel Kursk, non riesce a sfondare nella regione russa occupata dagli ucraini, ed è costretta ad alzare le paghe per trovare carne da cannone disposta a morire al fronte per la patria.
Un ostacolo che ha costretto Putin a chiedere l’aiuto di truppe alla Correa del Nod di Ciccio Kim. Ma il risultato è stato mortificante: dopo la debacle dei soldati fetecchia nord coreani, spediti in prima linea, è stata tale che sono stati frettolosamente richiamati (ora starebbero per tornare con rinforzini di artiglieria).
Il secondo fattore a creare pressione è il rinforzato impegno militare di Francia e Regno Unito, le uniche due potenze nucleari d’Europa.
Emmanuel Macron ha messo a disposizione di Zelensky i caccia Mirage 2000, già utilizzati 5 giorni fa per respingere gli attacchi russi.
Con il solo sostegno militare di Parigi e Londra, l’Ucraina può continuare a combattere per altri sei-otto mesi, una finestra lunghissima e inaccettabile per Trump, che in campagna elettorale aveva promesso una fine della guerra in 24 ore. Meglio trovare un accordo subito per evitare ulteriori strascichi.
Il terzo e decisivo fattore è stata la mediazione di Mohammed Bin Salman, grande amico di Donald Trump e del genero, Jared Kushner, con cui ballano da tempo ricchi affari (Kushner, come Renzi, fa parte del board della Future Investment Initiative di MBS e progetta business immobiliari insieme ai sauditi, come il “resort” immaginato a Gaza).
Ora il destino della tregua è in mano a Putin. Al momento i russi manifestano “cautela” e fanno sapere di essere “scettici” di fronte all’idea del cessate il fuoco.
Trump, che ha fatto di tutto per piegare e umiliare Zelensky (con l’indegna imboscata alla Casa Bianca), adesso che farà per convincere Putin? Insieme al suo vice-bullo Vance, lo sottoporrà a un trattamento simile o gli darà tutto quello che vuole?
E la Cina che fa? Finito il congresso del Partito popolare, gli alti papaveri pechinesi come al solito si muovono con prudenza e attendismo, diffondendo dichiarazioni di circostanza come “speriamo in una pace sostenibile e duratura che faccia proprie le preoccupazioni reciproche”.
Nel frattempo, però, Xi Jinping usa il suo soft power per giocare le partite che gli interessano davvero: quelle economiche.
Pechino, che ha in mano 759 miliardi di debito pubblico statunitense, ha ripescato i vecchi capitalisti come Jack Ma, il fondatore del colosso e-commerce Alibaba, per competere con gli Usa dando impulso alla piattaforma attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale.
E nel frattempo si gode il monopolio dell’auto elettrica, che Europa e Stati Uniti gli hanno gentilmente regalato, e il panico nei mercati occidentali.
Il crollo di Tesla in Borsa (il titolo da inizio anno ha perso il 45% di capitalizzazione) non si deve tanto ai sabotaggi europei delle macchine di Musk o alla campagna di vandalizzazione, quanto piuttosto ai dati horror della casa automobilistica nel mercato asiatico: a febbraio Tesla ha perso il 49% di vendite rispetto allo scorso anno, mentre la società cinese Byd cresce del 24% (e ha il triplo della quota di mercato).
Trump è costretto a tenere botta, fare buon viso a cattivo gioco e sponsorizzare gli acquisti di Tesla con uno show a favor di telecamera.
Il presidente difende Musk dagli assalti alle concessionarie, definendolo terrorismo interno, e ne approfitta per minimizzare, dichiarando “momentaneo” il periodo nero delle borse americane.
Pur non negando la possibile recessione, King Donald la giustifica come “periodo di transizione, perché quello che stiamo facendo è molto grande“. Il messaggio che vuole veicolare, di fronte al profondo rosso di Wall Street, è: siamo di fronte a una tempesta passeggera, la nostra “grande rivoluzione” ha bisogno di tempo. Il tutto accompagnato a un attacco ai grandi fondi di investimento.
Parole al vento, quando la realtà scodella uno scenario horror. Ieri Wall Street ha perso 1000 miliardi (Il Dow Jones – 2,09%, S&P 500 il 2,77%, Nasdaq -4% – Tesla -15,43%. Perdite che penalizzano i dividendi di tanti fondi pensione Usa, azionisti dei vari Blackstone, Pinko, Blackrock, etc., che, a loro volta, hanno subito scaricato il Tycoon comunicando di non avere affatto fiducia nella politica economica muscolare della Casa Bianca.
Che la politica dei dazi faccia solo male, molto male all’economia americana, lo conferma nientemeno che Larry Fink, boss di Blackrock: “Le politiche nazionalistiche faranno aumentare l’inflazione nei prossimi sei-nove mesi”.
Come Dago-dixit, i grandi banchieri statunitensi e gli omologhi britannici hanno avuto vari incontri nelle scorse settimane a Londra, più che allarmati per le mosse economiche di Donald Trump, ormai più che consapevoli che il loro vecchio ordine del capitalismo, fondato sulla globalizzazione e sulla supremazia del dollaro come moneta di scambio internazionale, non ha nulla a che fare con la tecnocrazia dei vari Thiel e Musk, supportati dai miliardari della Silicon Valley.
Risultato? Il biglietto verde traballa, e l’economia Usa, secondo le ultime stime, potrebbe entrare in recessione già nel trimestre in corso. Altro che “età dell’oro”.
(da Dagoreport)
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