CON UN MINISTRO DEGLI ESTERI E UN GOVERNO ALL’ALTEZZA, CECILIA SALA NON SAREBBE FINITA IN UNA GALERA DI TEHERAN
L’ARRESTO A MILANO DELLA ”SPIA” IRANIANA ABEDINI, SU “ORDINE” USA, E’ DEL 17 DICEMBRE. DUE GIORNI DOPO LA SALA VIENE IMPRIGIONATA … CONOSCENDO LA “DIPLOMAZIA DEGLI OSTAGGI” PERCHE’ LA FARNESINA E PALAZZO CHIGI, SOTTOVALUTANDO I “SEGNALI” DELL’INTELLIGENCE-AISE, NON SI SONO SUBITO ATTIVATI PER METTERE IN SICUREZZA GLI ITALIANI IN IRAN? … CIRIELLI ESILARANTE: “NORDIO STA STUDIANDO LE CARTE” (ALLORA SIAMO FOTTUTI)
Nel caso dell’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran è necessario prestare attenzione alle date.
La 29enne è partita il 12 dicembre per Teheran, dove avrebbe dovuto soggiornare per otto giorni, come permessole dal visto giornalistico, ottenuto senza troppi problemi, per conto della piattaforma di podcast “Chora”, diretta da Mario Calabresi.
Non appena atterrata, Sala ha postato una foto di Teheran, scrivendo: “Mi è mancato persino il tuo smog”.
Nei giorni seguenti ha fatto interviste e registrato regolarmente tre puntate del suo podcast, Stories, intervistando anche Hossein Kanaani, uno dei fondatori dei pasdaran iraniani (non proprio un dissidente del regime).
Poi, il 19, improvvisamente, è stata arrestata, riuscendo a comunicare con l’Italia il giorno dopo, il 20, con due telefonate: una alla madre, e l’altra al compagno, Daniele Raineri (giornalista del Post, già inviato di guerra in aree sensibili, prima per “il Foglio”, poi per “Repubblica”, epoca Molinari).
Qualche giorno prima, il 17 dicembre, i giornali italiani danno la notizia dell’arresto, su mandato internazionale (ordine degli americani) dell’ingegnere elvetico-iraniano Mohammad Abedini Najafabadi, accusato di trafficare armi, nello specifico droni, per conto del regime degli ayatollah.
Come accade per casi come questo, in cui in ballo ci sono i rapporti internazionali e delicati equilibri geopolitici, l’arresto viene di solito comunicato ai media con qualche giorno di ritardo, una procedura utile a gestire il caso a livello di deep state: si muovono i servizi segreti, i ministeri competenti, le ambasciate, i Paesi alleati, e solo alla fine si coinvolge la stampa.
La domanda sorge spontanea: dopo l’arresto di Abedini, cosa hanno fatto l’Aise di Caravelli e il ministero degli Esteri di Tajani?
Alla luce della nota “diplomazia degli ostaggi” praticata dall’Iran, Farnesina e Intelligence si sono attivati per allertare i nostri concittadini A Teheran?
Stando a quanto scriveva ieri “il Fatto quotidiano”, sembrerebbe di no: “Per quanto ne sanno a Chora Media, Sala non ha ricevuto messaggi di allarme, ‘era tranquillissima’, eppure una giornalista molto nota come lei era un eccellente bersaglio. Il governo italiano ha capito subito che l’arresto di Abedini era un serio problema politico?
O ha atteso che Teheran protestasse ufficialmente, convocando il numero due della nostra ambasciata?
Della protesta ha dato notizia l’agenzia di stampa iraniana il 22 dicembre, quando Sala era già stata arrestata, ma risaliva a qualche giorno prima”, conclude il giornale di Travaglio.
Che qualcosa nella macchina burocratica della Farnesina si fosse inceppato è stato chiaro a tutti quelli che hanno letto, il 17 dicembre, l’articolo, a firma di Gabriele Carrer, su “Formiche”: “L’arresto in Italia e la richiesta di estradizione delle autorità americane hanno fatto alzare la guardia sulla situazione degli italiani e degli italo-iraniani in Iran e di quelli intenzionati a viaggiare nel Paese. Si teme che Teheran possa reagire prendendoli in ostaggio per mettere pressione all’Italia chiamata a decidere sull’estradizione negli Stati Uniti”.
E continua: “La cosiddetta diplomazia degli ostaggi non è una novità per l’Iran. Un recentissimo rapporto dell’Institut français des relations internationales evidenzia come Teheran utilizzi la detenzione di cittadini occidentali, doppi cittadini o cittadini iraniani residenti in Europa, Australia o Stati Uniti come leva nei negoziati diplomatici. Il tutto, proprio per esercitare pressioni per ottenere concessioni politiche, economiche o diplomatiche all’interno della strategia di risposta asimmetrica di Teheran”.
Un passaggio, quello segnalato da Carrer, sempre bene informato su questioni di intelligence, che lascia immaginare una palpabile apprensione da parte dei nostri 007 per possibili ritorsioni del regime iraniano.
Qualcuno, all’Aise, temeva probabilmente ciò che poi è accaduto. E magari il nostro apparato di intelligence contava di far sapere che la cosidetta “diplomazia degli ostaggi”, cara non solo all’Iran (vedi gli scambi di spie Usa-Russia), era stata portata subito all’attenzione della Farnesina e di Palazzo Chigi.
Il “messaggio” è stato recepito dal governo Meloni? L’hanno per caos sottovalutato? Il ministero degli Esteri ha diramato un alert per mettere in sicurezza gli italiani in Iran? L’ambasciata a Teheran ha contattato i nostri connazionali, a partire da Cecilia Sala, informandoli del rischio di finire in galera
La domanda sorge spontanea: ai i piani alti della Farnesina, tra la Direzione Medioriente, l’Unità di Crisi, ambasciatori, c’è stato qualcuno che abbia unito i puntini tra l’arresto dell’iraniano Abedini e il pericolo di una possibile ritorsione verso gli italiani?
A maggior ragione che i pasdaran di Teheran stavano cercando una “preda” utile a far scoppiare un caso diplomatico su cui fare leva per riportare in patria il loro ingegnere-spione.
E chi meglio di Cecilia Sala poteva servire allo scopo: una giornalista-influencer (400mila follower prima dell’arresto, ora veleggia verso il mezzo milione), giovane e bella, volto televisivo, apparendo in diverse trasmissioni su La7, legata sentimentalmente a Daniele Raineri, giornalista noto nell’ambiente diplomatico e dell’intelligence per i suoi lavori e viaggi in Paesi ad alto rischio in quell’area: nel 2015 il suo nome salì alla ribalta quando vennero rapite in Siria le volontarie Greta Ramelli e Vanessa Marzullo).
Gli iraniani devono aver pensato che il boccone era mediaticamente troppo ghiotto per lasciarselo scappare.
Erano certi che il rapimento della Sala avrebbe mobilitato un’attenzione mediatica che ad altre persone, meno “profilate”, non sarebbe stata riconosciuta
La tesi che circola tra gli analisti è che Teheran dall’inizio volesse un certo clamore internazionale, per la complessità del caso Abedini: pur essendo detenuto in Italia, infatti, ci sono le manone americane sul “mago dei droni”.
Riportarlo a casa non è affatto facile. L’unico spiraglio era creare il “caso”, incalzare così le autorità statunitensi e italiane con la crescente pressione dell’opinione pubblica.
Un brutto cetriolo ora per il governo Ducioni, che dovrà sbrogliare la matassa prima dell’insediamento di Donald Trump, il 20 gennaio: finché c’è l’anatra zoppa Biden, ormai a fine mandato e con un piede e mezzo nella pensione, si può ancora trovare una furbesca exit strategy. Una volta arrivato il tycoon alla Casa Bianca, saranno cazzi amari per Palazzo Chigi rigettare l’estradizione richiesta dalle autorità americane.
D’altronde, non sarebbe la prima volta che il Governo Meloni si trova a gestire nel peggiore dei modi un detenuto nel mirino di Washington. Nel 2023 a creare tensione tra Italia e Usa ci pensò il baldo Artem Uss.
Nel caso del figlio dell’oligarca russo, che Washington chiedeva di estradare negli Stati uniti, sappiamo come è finita: una volta che i giudici hanno deciso di farlo uscire dalla galera e confinarlo ai domiciliari, zac!, Uss è stato misteriosamente “liberato” sotto il naso delle autorità italiane da un commando di 6 uomini (un italiano di origine bosniaca, tre serbi e due sloveni) ed è tornato a Mosca sano e salvo. Un lavoro ”pulito” che fece imbufalire Washington.
Ed facile immaginare l’incazzatura dell’intelligence Usa leggendo ieri su “Repubblica” l’intervista al viceministro agli Esteri, Edmondo Cirielli (FdI), quando afferma che il trentottenne iraniano arrestato a Malpensa su mandato Usa ”potrebbe non essere estradato, ha commesso un reato soggettivo, Nordio sta studiando le carte…
È chiaro che viene valutato giuridicamente. Viene accusato di spionaggio, se pretendiamo dagli altri diplomazia, dobbiamo essere cauti anche noi….il ministro farà le sue valutazioni”.
Dopo il “Nordio che sta studiando le carte”, l’incauto (e inadeguato) Cirielli apre un altro fronte quando aggiunge una frase sibillina sulla povera Cecilia Sala: “In linea di massima, immaginiamo che ci sia qualche violazione protocollare legata al suo lavoro di giornalista, comportamenti che da noi non sono reato. Quindi giocheremo sulla difformità degli ordinamenti giuridici”.
Il mattacchione della Farnesina non spiega quale potrebbe essere una “violazione protocollare legata al suo lavoro di giornalista” e assicura baldanzoso: “Utilizzeremo il fatto che in Occidente siamo quelli che hanno rapporti migliori con l’Iran”.
E conclude sempre più sibillino: “Poi la giornalista è molto capace, non abbiamo motivo di ritenere che abbia fatto qualcosa di grave o di oggettivamente sbagliato, anche alla luce del nostro ordinamento”. (Ma che stai a di’?)
(da Dagoreport)
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