CONTI PUBBLICI, EURO E TASSI, COSI’ IL GOVERNO FALSIFICA LA REALTA’
PRIMA DELLE ELEZIONI LO SPREAD ERA A 130, ORA A 300: NON C’ENTRA LA PERFIDA EUROPA, GLI INVESTITORI NON SI FIDANO PIU’ A PRESTARCI SOLDI COME NESSUNO DI VOI PRESTEREBBE ANCORA QUATTRINI A UN SOGGETTO CHE LI SPUTTANA NELLE OSTERIE
A febbraio, prima delle elezioni che hanno segnato la vittoria dei gialloverdi, lo spread (la differenza tra il rendimento dei Btp a 10 anni e i Bund tedeschi) era sotto quota 130 punti base.
Poi le indiscrezioni sulla prima versione del contratto di governo, i conteggi sulle promesse con costi fino a 100 miliardi in tre anni e le polemiche di agosto, fino alla danza del deficit sul balcone di Palazzo Chigi, hanno fatto arrivare lo spread a superare quota 300.
Perchè ?
Gli operatori sui mercati – fondi pensione, fondi di investimento e altri – percependo che il rischio-Italia aumenta, pretendono tassi più alti per continuare a prestarci soldi. La correlazione tra eventi politici e aumento dello spread è stata individuata dallo stesso presidente della Bce Draghi che ha puntato l’indice sulle dichiarazioni dei due vicepremier.
Le ragioni della corsa dello spread non sembrano dunque legate tanto alle dichiarazioni di Juncker o di altri esponenti della Commissione europea, quanto a ragioni tutte italiane.
I tassi sono schizzati verso l’alto di fronte ad un nuovo fatto, stavolta, concreto: l’idea dell’Italia di alzare il deficit al 2,4% ben più in alto di quanto consentito dalle regole condivise a Bruxelles.
La “cambialona” è l’ultima trovata del vicepremier Luigi Di Maio. Il deficit non si chiama più deficit, ma diventa un “piccolo prestito” che, sia detto per inciso, vale 27,2 miliardi.
Secondo il leader grillino sarà “restituito” il prossimo anno grazie ai tagli che si faranno, presumibilmente agli sprechi, e grazie alla crescita che ne conseguirà .
A prima vista potrebbe sembrare solo un discorso confuso, invece è purtroppo la traduzione delle intenzioni di Tria.
Tagliare dove si può, recuperare risorse per investimenti, che in buona parte saranno trovate in deficit che salirà al 2,4%, e sperare nella crescita, sebbene nel 2019 i maggiori organismi internazionali la vedano a poco più dell’1%.
Il paradosso è la nuova clausola di salvaguardia: se il Pil non sboccia allora tagliamo la ulteriormente la spesa.
E chi ha avuto il reddito di cittadinanza che fa? Lo restituisce?
È il ritorno del Piano B di Savona, che prevedeva l’uscita dell’euro in una notte.
Ma l’Italia, lungi dal risolvere “gran parte dei suoi problemi” con l’uscita dall’euro e il ritorno della lira, entrerebbe in uno scenario da incubo: inflazione, consolidamento del debito pubblico, isolamento.
Il mattino dopo un’ipotetica decisione del governo, la Nuova Lira si presenterebbe sui mercati presumibilmente svalutata di almeno il 30 per cento, si diffonderebbe il panico: i mercati valutari verrebbero chiusi, gli investitori stranieri non si fiderebbero più e non sottoscriverebbero più il nostro debito esponendoci al rischio che il governo decida di allungare le scadenze per il rimborso, il cosiddetto consolidamento.
Le aziende, le banche e gli individui con debiti verso l’estero (ad esempio un mutuo stipulato con una banca francese) dovrebbero continuare ad onorarli in euro a quel punto assai costosi. I tassi schizzerebbero verso l’alto. E le esportazioni? Non illudiamoci: per ritorsione l’Unione europea ci frenerebbe con dazi e tariffe.
(da “La Repubblica”)
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