COSA CAMBIA CON LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE DEI MAGISTRATI E QUALI SONO I RISCHI
INTERVISTA AL GIUDICE ROSSELLA MARRO. “RISCHIO CHE LE INDAGINI FINISCANO SOTTO IL CONTROLLO DEL GOVERNO”
La riforma costituzionale della giustizia che la commissione Affari costituzionali della Camera ha approvato nei giorni scorsi non contiene solo la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, ma anche un riordinamento dell’assetto della magistratura: due Csm con componenti estratti a sorte, una nuova Alta corte per i provvedimenti disciplinari, un tentativo di ‘equilibrare’ i poteri e che invece potrebbe sbilanciarli. La riforma è ancora nelle prime fasi, ma secondo il ministro della Giustizia Nordio dovrebbe essere approvata (prima di un eventuale referendum) entro l’inizio dell’estate. Si tratta di un’operazione che “rischia di danneggiare i cittadini”, secondo Rossella Marro, presidente di Unità per la costituzione (Unicost, corrente centrista delle toghe) e presidente di sezione penale al Tribunale di Napoli Nord, intervistata da Fanpage.it.
Il disegno della riforma “avrà degli effetti peggiorativi sotto il profilo della tutela dei diritti e dell’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge”. E rischia di portarci verso un sistema in cui ci sono meno protezioni nei confronti di “soggetti forti”. I casi negli ultimi anni non mancano: il caso Regeni, il caso Cucchi, e ancora prima le indagini sul G8 e sui depistaggi per le stragi di mafia. Tutte inchieste in cui i cittadini partivano ‘svantaggiati’ nei confronti di autorità o istituzioni, ma su cui la magistratura è riuscita a portare luce. “Dobbiamo chiederci: tutto questo sarebbe possibile nel sistema verso cui stiamo andando?”
Perché il governo vuole separare le carriere di giudici e pm
Per spiegare la riforma bisogna partire dall’intervento che le dà il nome, ovvero la separazione delle carriere. In sostanza, chi inizia la propria carriera come giudice non potrà mai diventare un pubblico ministero (i magistrati che coordinano le indagini e fanno la funzione della ‘accusa’ nei processi), e viceversa. Un fenomeno che a dire la verità non è così diffuso: negli ultimi cinque anni risulta che solo lo 0,83% dei pm abbia deciso di diventare giudice, e solo lo 0,21% dei giudici abbia fatto il percorso inverso.
“I cambiamenti di carriera sono molto rari, perché con una serie di riforme è stato reso più difficile effettuarli”, ha spiegato Marro. L’ultima è stata la riforma Cartabia del 2021, che ha permesso un solo cambio in tutta la carriera, e solamente nei primi dieci anni di attività.
Ma se riguarda una percentuale così bassa di magistrati, perché il governo Meloni ha insistito così tanto sulla riforma? “”Ufficialmente, si dice che il giudice deve essere separato dal pubblico ministero perché attualmente il giudice non è terzo ed imparziale rispetto al pubblico ministero”, ha detto Marro. “La separazione garantirebbe l’imparzialità e la parità tra difesa e accusa”. Il problema è che questa idea parte da presupposti sbagliati.
Intanto si suggerisce che “il giudice non sia imparziale”. Invece, “per dimostrare l’opposto basta verificare l’alta percentuale di assoluzioni: i giudici non si ‘appiattiscono’ affatto sulle posizioni dei pm, anzi”. L’altro presupposto sbagliato è che “l’avvocato è il pubblico ministero ricoprano lo stesso identico ruolo, ma su posizioni opposte”.
Questo è semplicemente sbagliato: “Il pubblico ministero ha lo stesso obiettivo del giudice: ricercare la verità. Deve raccogliere anche gli elementi anche a favore dell’imputato, in una percentuale altissima dei casi chiede l’archiviazione, e all’esito dell’istruttoria, se non si è raggiunta la prova, chiede l’assoluzione. Viene definito per questo parte imparziale”. Diverso è il ruolo del difensore, “che giustamente deve difendere l’imputato sia che sia colpevole sia che sia innocente”.
Cosa cambia con due Csm invece di uno
Una delle conseguenze di separare del tutto le carriere è che nascerebbe un secondo Consiglio superiore della magistratura. Non ce ne sarebbe solo uno, incaricato della gestione di tutti i magistrati, ma due: uno per i giudici e uno per i pm. E a differenza di quanto avviene oggi, i Csm non si occuperebbero delle questioni disciplinari, che sarebbero affidate a un altro organo del tutto nuovo, l’Alta corte.
Ma facciamo un passo alla volta. Al di là dei tecnicismi, ci sono alcune differenze sostanziali con due Csm invece di uno. Innanzitutto, “i pubblici ministeri nel Csm di oggi sono in proporzione nettamente inferiore ai giudici. Ci sono 15 giudici e 5 pubblici ministeri”. Invece con la riforma avremo “due Csm separati, con un numero uguale di giudici da una parte e di pubblici ministeri dall’altro”. Di fatto, perciò, “la riforma indebolisce il giudice rispetto al pubblico ministero”.
E questo cosa importa? Il fatto è che così le eventuali tensioni processuali tra pm e giudici, che possono emergere, rischiano di portare a scontri istituzionali tra i due organi di autogoverno. “Il fatto che i pubblici ministeri e giudici vadano sempre d’accordo e una favola: a livello processuale, ci sono dei momenti di tensione tra le parti”, ma questi poi “si compongono all’interno del processo, o nell’ambito dell’organo di governo autonomo comune ad entrambe le componenti”, cioè appunto il Csm. Con la riforma invece è “prevedibile” che “i due Consigli superiori probabilmente entreranno in conflitto”. Per di più i pubblici ministeri ” hanno alle loro dipendenze la polizia giudiziaria, hanno normalmente più rapporti con la stampa rispetto ai giudici… Insomma, il giudice non sarà rafforzato, ma indebolito”.
A cosa serve la nuova Alta corte
Come detto, con la separazione in due Csm nascerebbe anche una nuova Alta corte, che si prenderebbe la gestione di tutte le questioni disciplinari. Una novità “pericolosa”, secondo la giudice. E che sa di “punizione, perché è assolutamente irragionevole” che solo i magistrati ordinari debbano sottostare a una corte del genere (mentre non cambierebbe nulla per quelli contabili e quelli amministrativi).
Per di più le impugnazioni delle decisioni dell’Alta corte finirebbero di nuovo davanti all’Alta corte, ma in composizione diversa, e non alla Cassazione come avviene normalmente. “Un altro aspetto discriminatorio e ingiustificato”. Marro ha anche in questo caso smentito l’idea alla base del provvedimento, cioè che “le sezioni disciplinari del Csm siano troppo indulgenti”. Infatti, “ogni anni in media l’1,7% dei magistrati è sottoposto a un procedimento disciplinare. Quindi ogni dieci anni si parla del 17% dei magistrati: quasi uno su cinque, nell’arco di un decennio”.
Il sorteggio per togliere ‘potere’ alle correnti dei magistrati
Una questione delicata, quando si parla di magistratura, è quella delle correnti. È un dato di fatto che la magistratura si divida in correnti. E spesso la politica ha criticato questa tendenza, affermando che vada a danneggiare l’imparzialità dei giudici. Va anche in questo senso un aspetto della nuova riforma: i componenti dei Csm dovrebbero essere scelti per sorteggio, e non per elezione, per cercare di dare meno peso alle correnti di appartenenza.
Il fatto, come ha chiarito Marro (presidente della corrente Unicost), è che “il Csm non si occupa soltanto di questioni meramente tecniche. Si occupa anche di pareri sulle riforme, pratiche a tutela dei magistrati, e altri interventi che chiaramente implicano visioni e sensibilità molto diverse rispetto a quali siano la funzione, i compiti e il ruolo del magistrato”. E, come è normale, “non si può negare che ci siano delle forti differenze su questo all’interno della magistratura”. Si tratta di differenze che “dobbiamo trovare rappresentate all’interno del Consiglio superiore, dove il pluralismo è fonte di ricchezza”.
La questione del sorteggio, poi, non è per forza lineare e trasparente come sembra. Per i magistrati infatti si tratta di un “sorteggio puro, tra tutti quelli che hanno dato la disponibilità”. Invece per i laici “il sorteggio avviene all’interno di una rosa scelta dal Parlamento”. È facile vedere un possibile inghippo: “Il Parlamento potrebbe scegliere un numero di candidati uguale o quasi uguale al numero di posti disponibili, così avremo i consiglieri laici legittimati fortemente – perché sostenuti da una scelta parlamentare – e i togati invece delegittimati, perché scelti a sorte”.
Il pericolo che il governo voglia dei pm ‘sottoposti’
L’espressione “obbligatorietà dell’azione penale” può sembrare complessa, ma in realtà è un concetto semplice. La Costituzione all’articolo 112 recita: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Ovvero, se c’è un possibile reato che viene segnalato, il pm deve aprire le indagini, e non può scegliere per sua discrezione di non farlo. Anche questo però potrebbe essere messo in discussione dalla riforma.
È una regola “legata al principio di uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Dare al pubblico ministero la possibilità di scegliere chi perseguire e chi no, chiaramente, minerebbe questo principio”, ha detto Marro. Invece “attribuire al Parlamento l’individuazione di criteri di priorità”, come previsto già dalla riforma Cartabia, “non sarebbe problematico”.
I problemi potrebbero sorgere, però, mettendo in fila tutti gli elementi descritti finora. “Rischiamo di andare verso una situazione in cui la separazione delle carriere”, con “la creazione di un ordine autonomo dei pubblici ministeri”, porti poi alla “sottoposizione dei pm all’esecutivo”. Infatti, “se separiamo le carriere, il pubblico ministero sarà molto forte e, una volta sottratto all’unico ordine giudiziario, inevitabilmente non potrà avere un’autonomia assoluta”.
Perciò, con la separazione delle carriere come è strutturata nella riforma, il “passaggio immediatamente successivo” sarebbe sottoporre i pm alle volontà del governo. Cosa che minerebbe l’indipendenza delle indagini, come detto. In questo quadro si va a “intervenire sulla obbligatorietà” dell’azione penale. In questo modo, “è evidente che c’è il rischio di condizionare l’attività investigativa. Il principio fondante fondante della nostra Costituzione, secondo cui tutti i cittadi
Cosa rischiano i cittadini
I timori di Marro sono proprio questi: che nel nuovo sistema creato dal governo Meloni con la riforma, la magistratura sia indebolita (i giudici) oppure sottoposta di fatto alle decisioni del governo (i pm). A quel punto, rischierebbero di saltare molte tutele per la popolazione. “Nel momento in cui il cittadino si trova in una situazione di debolezza di fronte a una prevaricazione di un potere forte, che sia economico o politico, che tipo di tutela avrà rispetto ad amministratori o a politici, in un sistema del genere?”
Gli esempi concreti abbondano: “Pensiamo all’attività investigativa sul caso Regeni, alle indagini sui depistaggi sulle stragi di mafia, al caso Cucchi, ai disordini del G8 e tutto quello che ne conseguì a Genova: in tutti questi casi erano coinvolti soggetti ‘forti'”, spesso proprio politici o comunque istituzionali. “Soggetti rispetto a cui il cittadino era in una situazione di inferiorità. In tutti questi casi la magistratura, con questo nostro ordinamento giuridico, è riuscita a fare luce”.
Ma adesso “dobbiamo chiederci: tutto questo sarebbe possibile in un sistema in cui c’è separazione dei poteri, sottoposizione all’esecutivo, eliminazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale? Il sistema verso cui stiamo andando consentirebbe di fare luce su tutti questi casi allo stesso modo?”.
(da Fanpage)
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