COSA SUCCEDE SE C’E’ IL CORONAVIRUS E VIVI IN UNA REGIONE CON LA SANITA’ PRIVATA LEGHISTA
AVER DEMANDATO IL 50% DELLA SANITA’ AI PRIVATI CHE OPERANO SOLO IN ATTIVITA’ REDDITIZIE, HA PENALIZZATO LE STRUTTURE PUBBLICHE
Due giorni fa il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte è andato all’attacco della Sanità della Regione Lombardia. «Può darsi che nei giorni iniziali ci sia stata qualche falla, ma abbiamo impiegato risorse umane e finanziarie incredibili», ha dichiarato il premier mandando su tutte le furie il Presidente Attilio Fontana e Matteo Salvini, subito scesi in campo per difendere medici, infermieri e operatori del Servizio Sanitario regionale.
È evidente che la sparata di Conte non voleva prendere di mira medici e infermieri ma puntava invece il dito — a torno o a ragione, lo si vedrà forse più avanti — con chi quel sistema lo gestisce: i dirigenti ospedalieri e soprattutto la stessa Regione Lombardia.
Ma c’è un altro aspetto che invece meriterebbe di essere approfondito.
La Lombardia è la regione dove secondo la Lega il 50% delle erogazioni sanitarie è da parte di privati convenzionati (altri parlano del 40%).
Ma al momento il carico del lavoro nella lotta contro l’epidemia sembra essere unicamente sulle spalle del servizio pubblico.
Come scrive Radio Lombardia infatti in molti centri medici privati si è deciso di sospendere, almeno in parte, l’attività .
Una misura precauzionale, va detto, per evitare la diffusione del contagio. Nelle linee guida del Ministero della Salute del resto si raccomanda di non recarsi al Pronto Soccorso
Anche negli ospedali pubblici si è deciso di rinviare tutti gli interventi programmati non urgenti per utilizzare il maggior numero di risorse possibili per i pazienti affetti da Covid-19.
In una nota diffusa ieri l’Associazione Italiana dell’Ospedalità Privata faceva sapere che «allo stato attuale il primo infetto da Coronavirus è ricoverato nel capoluogo lombardo presso una struttura sanitaria di diritto privato, associata Aiop, che sta operando in piena sinergia con il Ministero e la Regione per garantire una risposta efficace e tempestiva più che mai, in questo particolare momento di crisi emergenziale».
Quello che stanno facendo i centri di medicina privati è quindi ragionevole ed anzi doveroso dal punto di vista del contenimento dell’epidemia, ma ci racconta anche un’altra cosa: che questo genere di emergenze sanitarie è poco redditizio per chi gestisce la sanità privata.
Non è una questione di dover fare i test tampone (anche se hanno un costo, come ha scoperto un paziente statunitense in Florida), il problema è la presa in carico dei pazienti, con i casi più gravi che devono essere ricoverati nei reparti di terapia intensiva o di medicina d’urgenza.
I pazienti acuti non sono insomma un buon affare, perchè richiedono cure costanti e costose. Il tema non è nuovo e riguarda in maniera marginale l’attuale emergenza sanitaria dovuta al coronavirus.
Il problema è che i privati si impegnano — e chi può far loro torto — in attività redditizie dove i costi non superano i ricavi (o le erogazioni). Ad esempio quando l’assessore regionale alla Sanità del Piemonte aveva aperto alla possibilità della creazione di unità di Pronto Soccorso private Anaao Assomed Piemonte aveva fatto notare che contrariamente ad altre prestazioni sanitarie gli accessi dal Pronto Soccorso non possono essere “selezionati” e spesso si tratta di casi «di pazienti più complessi dal punto di vista clinico, più anziani e dunque con aumentato rischio di complicanze e maggiori problematiche assistenziali».
Ed è giusto che sia il pubblico ad occuparsene visto che questo è il ruolo del SSN.
Il problema semmai è quando le risorse per il Pronto Soccorso o per i reparti di rianimazione iniziano a scarseggiare, magari perchè si è scelto di instaurare un rapporto particolare con le strutture private.
Ed è in situazioni come quella dell’epidemia di coronavirus che si vede come il SSN sia in prima linea.
(da “NextQuotidiano”)
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