COSI’ IL CAIRO HA DEPISTATO LE INDAGINI SUL CASO REGENI: UNO DEI QUATTRO 007 EGIZIANI IMPUTATI PER LA MORTE DEL RICERCATORE ITALIANO HA PARTECIPATO ALLE INDAGINI SUL CASO
ERA PRESENTE ANCHE NEI SOPRALLUOGHI NELL’ABITAZIONE DI REGENI E DOVE È STATO RITROVATO IL CADAVERE… SI TRATTA DEL COLONNELLO EGIZIANO UHSAM HELMI, INCASTRATO DA ALCUNE FOTO E IDENTIFICATO IN AULA DAL COLONNELLO DEL ROS, LORETO BISCARDI… HELMI SAPEVA TUTTO DEGLI SVILUPPI DELL’INDAGINE, HA AVUTO IL TEMPO DI TUTELARSI E DI DILEGUARSI
C’era agli incontri tra investigatori italiani ed egiziani. Anche durante i sopralluoghi congiunti nell’abitazione di Giulio Regeni o quando la polizia ha percorso la strada che conduce fino alla metropolitana di piazza Tahir, dove il 25 gennaio 2016 il ricercatore è stato sequestrato.
Il colonnello Uhsam Helmi era presente sempre, anche quando il 10 febbraio la squadra di esperti italiani è stata accompagnata sul luogo dove è stato fatto ritrovare il cadavere di Regeni, lungo un cordolo di cemento armato, sul cavalcavia che incrocia la Cairo Alessandria Desert Road.
“Quello con gli occhiali da sole è il colonnello Helmi, era presente molto spesso”, conferma in aula il colonnello del Ros dei carabinieri Loreto Biscardi, mentre sullo schermo scorrono le immagini dell’imputato sulla scena del crimine, in prima linea con i colleghi egiziani e italiani.
Il testimone, spronato dalle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, rivela che uno dei quattro imputati del processo ha seguito le indagini da vicino. Sapeva gli sviluppi, aveva il tempo di tutelarsi. Non c’è da stupirsi dunque se al momento opportuno si è volatilizzato, quando le accuse di sequestro, tortura e omicidio hanno puntato verso gli agenti della National Agency del Cairo.
E non sorprende dunque neanche il fatto che agli investigatori italiani siano state fornite le piste investigative più disparate, nessuna minimamente vicina alla verità alla quale è poi arrivata la procura di Roma. “La primissima ipotesi prospettata dalla National Agency – conferma in aula il direttore dello Servizio Centrale Operativo della polizia Vincenzo Nicolì – era relativa a un incidente stradale”.
“Ma era incompatibile sia per la posizione del cadavere sia per le condizioni del ritrovamento del corpo”, prosegue. “Al team investigativo italiano – spiega – man mano che si andava avanti furono prospettate diverse ipotesi tutte corroborate verbali di sommarie informazioni o da attività giornalistiche che ci venivano prospettate come ipotesi”. Ancora: “Una delle piste più suggerite fu quella di un ipotetico coinvolgimento di Giulio Regeni in un traffico di opere rubate”.
Fonti confidenziali, sostenevamo gli egiziani, dicevano che il ricercatore italiano era stato sequestrato e torturato nell’ambito di un giro di opere d’arte trafugate. “Altro tema riguarda la sfera sessuale”, ha detto Nicolì riferendosi all’ipotesi “che Regeni si era mostrato interessato a una ragazza” e che questo fatto “avrebbe suscitato la reazione degli amici” della donna. E ancora gli egiziani hanno fatto riferimento a una “sorta di litigio avvenuto nei pressi dell’ambasciata”.
Erano depistaggi, si scoprirà dopo. Arrivati al culmine il 24 marzo, quando proprio mentre il team italiano stava rientrando in patria, magicamente l’Egitto annuncia di aver trovato i colpevoli. Erano cinque rapinatori, criminali comuni. Nulla a che vedere con la morte di Regeni. Piuttosto sembrano agnelli (ma non troppo) sacrificali. Tutti uccisi in un conflitto a fuoco.
“Secondo loro quella mattina una batteria di rapinatori ricercati avrebbe occasionalmente incrociato pattuglia polizia egiziana e ne scaturisce un conflitto a fuoco” ha ricostruito Alessandro Gallo, del team investigativo italiano. È un esperto, un professionista con anni di esperienza alle spalle. E nota subito che c’è qualcosa di strano. Le foto del pulmino crivellato di colpi dimostrano che la polizia ha sparato frontalmente, ma dai corpi delle vittime si nota che i proiettili li hanno colpiti da dietro. I tabulati dei rapinatori erano “carenti”.
Tuttavia quanto gli stessi egiziani hanno consegnato agli italiani dimostra che durante il sequestro Regeni il capo era a 100 chilometri di distanza e non ci sono contatti tra tutte le persone coinvolte. Impossibile, come impossibili sono le fantomatiche testi fornite dagli egiziani mentre il principale indagato, il colonnello Helmi, “quello con gli occhiali da sole” seguiva le indagini passo per passo.
E la prima settimana di aprile, durante un incontro italo egiziano, tutto divenne chiaro. “Un punto di volta fu la riunione che si svolse in due giorni, il 7-8 aprile 2016 – spiega Nicolì – La parte italiana in quell’occasione ha dato conto delle richieste fatte dal nostro Paese rimaste inevase, soprattutto sui dati tecnici. Nel corso dell’incontro, dopo l’intervento del professor Fineschi (il medico legale ndr) che aveva eseguito l’autopsia eseguita sul corpo del ricercatore, il clima divenne più rigido. Dopo questo incontro ci fu il ritiro dell’ambasciatore da parte dell’Italia”.
(da La Repubblica)
Leave a Reply