DAL BALCONE ALLA TRATTORIA: SALVINI E DI MAIO SUONANO LA RITIRATA NELLA CAMPAGNA D’EUROPA
MEGLIO TIRARE A CAMPARE FINO ALLE EUROPEE, MA AGLI ITALIANI LA LORO ARROGANZA E’ COSTATA UN MILIARDO IN 80 GIORNI
Due momenti, due luoghi, due immagini. Due dettagli per il tutto.
Gli ultimi 80 giorni della fallimentare campagna d’Europa di Salvini e Di Maio si riassumono in due scatti iconici.
Il primo, il 27 settembre, l’inizio della storia, il guanto di sfida lanciato in faccia agli euroburocrati di Bruxelles: Di Maio che con gli occhi spiritati si affaccia dall’elegante balcone di palazzo Chigi esultando per aver sconfitto il “Cerbero” Tria, incassato il deficit/pil al 2,4% e “abolito la povertà “.
Il secondo, il 12 dicembre, la fine o quasi della disfida, la resa ai tecnici della Commissione europea: i due vicepremier che a notte fonda escono assieme al premier Conte da una ruspante trattoria romana, una di quelle da coda alla vaccinara a 13 euro, i musi lunghi e le facce tirate, il silenzio-assenso alle domande dei cronisti sui 7 miliardi sacrificati sull’altare di Bruxelles, “parla Conte, chiedete a Conte”.
La ritirata è evidente. Perchè di ritirata si parla.
Non è l’inizio della fine del governo gialloverde – chi ci spera ne resterà deluso – nè l’inizio della “normalizzazione” di Lega e M5s.
Altamente improbabile una crisi di governo, almeno fino alle elezioni europee.
Perchè la scelta di cedere sui conti pubblici alle richieste di Bruxelles non è il colpo destinato a far vacillare i due dioscuri gialloverdi bensì l’esatto contrario. È la scelta, a malincuore ma ponderata, di fare un passo indietro per salvare le penne invece che rimettercele.
L’intento tutt’altro che nobile di preferire il tirare a campare invece che tirare le cuoia. Il giorno in cui i due leader si svegliano meno Churchill e più Andreotti.
Insomma, per i due il tanto temuto Tsipras moment, per dirla alla Monti, è arrivato. Ovvero quello specifico momento in cui il premier greco, fattosi eleggere per contrastare la troika europea, si è invece accucciato a più miti consigli e accettato la cura da cavallo imposta da palazzo Berlaymont, altro che sogno rivoluzionario in terra ellenica.
Per i due sovran-populisti italici la campanella è scoccata quando, qualche giorno fa, l’Istat ha certificato che la già flebile spinta dell’economia non solo si è fermata ma ha anche cambiato verso e di conseguenza il teorico del cigno nero, il ministro Savona, ha per la prima volta pronunciato la parolina più temuta dagli economisti: recessione. Lì matura la retromarcia.
Salvini e Di Maio capiscono di non potersi permettere un 2019, anno elettorale, che parta con tre micce pronte ad innescare la stessa bomba: crescita stagnante, procedura d’infrazione con l’Europa e spesa pubblica a profusione.
Laddove la bomba si chiama spread e la cui esplosione ha come unico effetto fare andare in fumo buona parte dei risparmi degli italiani.
Quindi meglio alzare il piede dall’acceleratore, rallentare e mettersi in andatura di crociera, tanto se nei prossimi sei mesi le cose non andranno bene e l’auto deraglia la colpa sarà attribuita sempre all’arcigna e matrigna Europa.
Poi, dopo le Europee, si vedrà . Politicamente si entrerà in una nuova era geologica.
Intanto però in questi 80 giorni le sole parole di fuoco di leghisti e pentastellati, come ha ricordato più volte il governatore Bce Draghi, hanno già fatto danni
Hanno costretto lo stato – e quindi noi contribuenti – a pagare più soldi per interessi per quasi un miliardo, vista l’impennata dello spread.
anno costretto le famiglie che hanno acceso nuovi mutui a contrattare tassi più alti. Hanno costretto le banche a vedere i propri corsi azionari prendere più di un capitombolo a Piazza Affari.
Tutto ciò per 80 giorni di propaganda a uso elettorale.
Ma si sa, tanto per la politica a pagare è sempre Pantalone. E Di Maio e Salvini non fanno eccezione.
(da “Huffingtonpost”)
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