DAL PD A FORZA ITALIA, LE MANOVRE DEI RIBELLI IN ATTESA DELLA PROVA D’AULA SULLA RIFORMA DEL SENATO
CHITI: “NON CI SPOSTIAMO DI UN MILLIMETRO DALLE NOSTRE POSIZIONI”… ROMANI: “IN AULA PUO’ ACCADERE DI TUTTO”
«Abbiamo iniziato a lavorare bene sulla strada di un accordo che, comunque, è ancora lontano. Ma non è affatto detto che, una volta trovato, la prova del voto in Aula sarà una passeggiata. Anzi…».
Nelle confidenze notturne che Paolo Romani ha fatto ad alcuni colleghi di partito subito dopo l’incontro col ministro Maria Elena Boschi, e siamo a venerdì sera, c’è una storia che va molto al di là dei comunicati congiunti, dell’euforia di Palazzo Chigi, delle fughe in avanti del leghista Roberto Calderoli.
Perchè, a prendere per buono il timore confessato agli amici dal capogruppo di Forza Italia a Palazzo Madama, la strada delle riforme è ancora in salita.
«In commissione, una volta trovato l’accordo sul testo, filerà tutto liscio», è stato l’adagio del presidente dei senatori azzurri. «Ma tutti i “ribelli”, tutti coloro che dentro il centrosinistra e tra di noi vogliono ancora il Senato eletto direttamente dal popolo, tutti questi non sono sconfitti in partenza. In Aula può cambiare tutto…»
La lunghissima partita che comincerà il 3 luglio è tutt’altro che scritta.
E la sorte dell’eterogeneo fronte di chi si oppone alla «madre di tutte le riforme» non è ancora segnata.
Corradino Mineo risponde da una Palermo dove è già estate piena. «Posso dirla con una battutaccia di quelle che mi hanno rovinato la vita?».
La battuta arriva dopo mezzo secondo. «Sicuramente nell’ultima formulazione del testo ci sono dei passi in avanti. Ma il punto centrale della nostra battaglia rimane ancora là . Stiamo passando da un Senato di Razzi (nel senso di Antonio, ndr ) a un Senato di Fiorito (nel senso del Batman del vecchio Consiglio regionale del Lazio, ndr ). Un’Aula non eletta direttamente dal popolo, che comunque conserva dei poteri costituzionali per cui non avrebbe la legittimazione necessaria, produrrà solo danni. Noi non arretriamo di un millimetro».
Nel «noi» citato da Mineo ci sono tantissimi colleghi senatori che ancora si nascondono nell’ombra.
Oltre a chi, dentro i confini del Pd renziano, aveva finito addirittura per autosospendersi, una settimana fa. Come Vannino Chiti. Che infatti dice: «Mi creda, sull’elezione diretta del Senato poi porteremo avanti la nostra battaglia con fermezza e lealtà . Da quella posizione non ci spostiamo di un millimetro».
Tra l’altro, aggiunge l’ex ministro e governatore della Toscana, «sono molto inquieto rispetto a certe frasi che i giornali hanno attribuito a Renzi sulla riforma elettorale. Anche perchè, per quanto mi riguarda, delle due l’una. O torneranno i collegi uninominali oppure che si rimettano le preferenze. Altrimenti, una volta riformato il Senato, non ci sarebbero praticamente più dei parlamentari eletti dal popolo».
Non ci sono solo i niet di un pezzo del Pd.
Anche dentro Forza Italia il tema della ribellione dei senatori agli «ordini di scuderia» del partito comincia a farsi largo nella nebbia.
«Lo dico da adesso, così nessuno potrà far finta che non lo sapeva. Io, se la riforma del Senato rimane questa, non la voto», scandisce Augusto Minzolini. «E come me, immagino, anche tanti altri miei colleghi», aggiunge.
D’altronde, ricorda l’ex direttore del Tg1, «la proposta che ho presentato, e che prevede l’elezione diretta del Senato, era stata firmata da trentasette colleghi di Forza Italia. La maggioranza di noi. E visto che quel testo è in antitesi rispetto a quello che sta confezionando il governo, e soprattutto visto che la gente di solito legge prima quello che firma, tutto questo qualcosa vorrà dire, no?».
In fondo, basterebbe un voto secco. Basterebbe che la maggioranza dei senatori confermasse l’elezione del Senato così com’è per far crollare il castello di carte.
«Non siate così sicuri che il pressing dei capipartito faccia presa su tutta la maggioranza dell’Aula. Altrimenti avrete delle sorprese», è la profezia di Mineo. «Non so quanti parlamentari siano disposti a votare una riforma che trasforma la Camera dei Deputati in un qualcosa di molto simile alla Duma sovietica», sottolinea Minzolini.
Anche Renato Brunetta, che sta alla Camera, sente puzza di bruciato. «Dieci euro di tasca mia sul fatto che questa riforma sarà approvata non me li gioco di certo. Non me li gioco io come credo che non se li giocherebbe nessun altro», sorride il capogruppo forzista a Montecitorio.
La clessidra scorre inesorabile. I ribelli affilano le lame.
Il timer del 3 luglio è già stato innescato.
Tommaso Labate
(da “il Corriere della Sera”)
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