DANIEL, PHILIP, FEARGOD: LE STORIE DEI PROFUGHI CHE AIUTANO LE VITTIME DEL TERREMOTO
SONO IMPEGNATI DA VOLONTARI NELLA COSTRUZIONE DELLE STRUTTURE DI EMERGENZA A MONTEPRANDONE… “UN MODO PER DIRE GRAZIE ALL’ITALIA”
“Guardali come sorridono: si fanno i selfie mentre fanno finta di aiutare”, “Mandiamo gli immigrati nelle tende e gli italiani negli alberghi”.
Nei giorni successivi al tremendo sisma che ha colpito l’Italia centrale frasi come questa hanno inondato i social network e le agenzie.
I professionisti dello sciacallaggio e della disinformazione non hanno perso l’occasione troppo ghiotta di giocare sulla dicotomia italiano-straniero per lucrare consenso, clic e visibilità .
Nelle stesse ore in cui i santoni del populismo agivano a pieno regime un gruppo di migranti ospiti di una struttura gestita dal Gus (Gruppo Umana Solidarietà ) ad Ascoli Piceno decideva di mettersi a disposizione della comunità che li ha accolti.
I cantori dell’indignazione xenofoba si sono veramente chiesti chi sono e da dove vengono queste persone?
Qualcuno di loro si è chiesto che facce hanno e perchè lo fanno?
Abbiamo chiesto di raccontarci le loro storie, per opporre volti e nomi al muro dell’indistinto “andate nelle tende e metteteci gli italiani negli alberghi”.
Daniel, Feargod e Philip, rispettivamente 22, 30 e 20 anni hanno una drammatica storia comune.
Tutti nigeriani, costretti dalle disastrose condizioni della economia del loro Paese a ripiegare in Libia in cerca di fortuna, diventano presto vittime dei mercanti di uomini. Dopo esperienze di lavoro varie, al momento di chiedere il compenso dovuto sono rinchiusi in un campo di prigionia che li vede vittime di violenze e angherie.
“Un giorno ho chiesto i soldi che mi spettavano e loro mi hanno licenziato, picchiato e portato in prigione, dove mi hanno tenuto per 9 mesi insieme ad altre 200 persone, in condizioni igieniche molto precarie e senza cibo a sufficienza, nè acqua. Un giorno abbiamo provato a scappare, ma ci hanno scoperto, picchiato violentemente e trasferito in un’altra prigione. Li ero insieme ad altre 50 persone con cui condividevo un solo pasto al giorno. Un mio amico è morto lì per colpa delle percosse che gli davano i carcerieri” mi dice Daniel.
Lo stesso racconta Feargod: “Eravamo più di cento persone nello stesso luogo, senza servizi igienici e mangiando, se eravamo fortunati, una volta al giorno. La prima volta che ho cercato di fuggire ero solo, però mi hanno scoperto e mi hanno picchiato a lungo. Sono rimasto in tutto sei mesi in questo luogo”.
Tutti e tre, dopo la fuga , intraprendono il viaggio verso l’Italia, pericoloso e faticoso. Tutti e tre, insieme ad altri 20 migranti, decidono di offrirsi volontari.
Eroismo d’accatto? Marketing? Ricerca di visibilità ? Niente del genere, ovviamente
Come ha raccontato Paolo Bernabucci, Presidente del Gus, si è riflettuto molto prima di accettare la proposta dei ragazzi.
Il loro contributo è stato offerto al sistema di Protezione civile e di concerto con le amministrazioni comunali coinvolte.
I migranti sono ora impegnati nella costruzione e nella manutenzione di strutture di emergenza a Monteprandone.
Il loro impegno continuerà fino a quando sarà necessario, con lo stesso silenzio e la stessa discrezione usata nel comunicare la loro disponibilità nelle ore successive al sisma.
Parliamo di eroi? Niente del genere.
Parliamo di uomini e donne che non hanno scelto il nostro Paese come luogo di vacanza ma come prima piattaforma per provare a vivere un’esistenza degna di essere vissuta.
Hanno incontrato il Gus, una realtà che da anni è impegnata nell’accoglienza e nell’integrazione
Hanno incontrato l’Italia e, aiutandoci, hanno provato a dirci semplicemente grazie.
(da “Huffingtonpost“)
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