DAZI, OGGI LA DECISIONE SULLA MAZZATA USA
COSA RISCHIA IL MADE IN ITALY… LA POLITICA SOVRANISTA E PROTEZIONISTA DI TRUMP PUO’ CAUSARE GRAVI DANNI ALLA PRODUZIONE ITALIANA
Le tasse Usa sulle importazioni mettono a rischio uno dei settori più floridi del mercato italiano extraeuropeo. Ecco quali potrebbero essere le conseguenze
La data è vicina: oggi, 30 settembre, l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) potrebbe autorizzare gli Stati Uniti ad applicare dazi (tariffe per i prodotti di importazione) da 7 a 10 miliardi di dollari ai prodotti europei — tra i quali aerei e parti di aerei prodotte in Europa, e prodotti dell’agroalimentare.
L’ombra della svolta — che sarebbe un vero e proprio terremoto per il commercio internazionale — si proietta a tinte fosche anche sul settore agricolo e dell’alimentazione di qualità , come si capisce subito, leggendo l’analisi di Coldiretti sul Made in Italy diffusa dall’ente il 26 settembre. Nei primi 8 mesi del 2019, il mercato italiano negli Stati Uniti ha raggiunto il record storico, balzando del +8,9% , in un contesto che già vedeva gli Usa come il principale mercato di sbocco per l’Italia fuori dai confini europei.
Il 28 settembre, durante il “Parmigiano Day” della Coldiretti a Bologna, migliaia di allevatori, casari, stagionatori, gastronomi e consumatori — il cosiddetto “popolo del Parmigiano” — sono scesi in piazza con mucche, caldaia e zangole al seguito per protestare contro i pericoli legati al divampare delle guerre commerciali.
Se i dazi dovessero essere ufficializzati, la tassa sull’import passerebbe da 2,15 dollari a 15 dollari al kg, facendo alzare il prezzo al consumo fino a 60 dollari al kg. Secondo il Consorzio del Parmigiano Reggiano, a un simile aumento corrisponderà un crollo dei consumi stimato nell’80-90% del totale.
Da dove nasce la questione dei Dazi: lo scontro con la Cina
La strategia protezionista di Donald Trump, già colonna della sua campagna elettorale, ha fatto il suo ingresso sulle scene dell’economia globale durante il periodo del World Economic Forum del 2018, l’evento a cui partecipa ogni anno l’èlite della finanza mondiale.
Sulla base della sezione 201 del Trade Act americano (norma molto elastica che serve soprattutto a tutelare il mercato Usa), Trump aveva annunciato l’introduzione di «tariffe globali di salvaguardia» per frenare l’import di lavatrici e pannelli solari cinesi e coreani.
Lo scontro con la Cina era nei cantieri dell’amministrazione Trump già dall’agosto 2017, quando, ricorrendo alla sezione 301 del Trade Act, il presidente Usa aveva avviato un’indagine sulle politiche commerciali e industriali cinesi per «tutelare la sicurezza nazionale».
Pochi giorni dopo, la Casa Bianca pubblica un report con cui stabilisce che circa 1300 tipi di prodotti cinesi, per un valore che oscilla tra i 50 e 60 miliardi di dollari, «sono dannosi per il commercio statunitense», e che «la Cina conduce e supporta intrusioni informatiche per accedere alle informazioni sensibili delle società statunitensi» (da qui la controversia su Huawei).
Il ricorso alla strategia della «sicurezza internazionale» permette al Presidente americano di ricorrere alla sezione 232 del Trade Expansion Act, che allarga la «difesa» anche al settore di alluminio e acciaio — considerati materiali chiave nella produzione di armi e armamenti.
Il passaggio in Europa
Nel 2019, però, l’accordo con la Cina è ancora lontano (Pechino ha annunciato ritorsioni su 60 miliardi di dollari di prodotti americani). A giugno di quest’anno, Trump è passato all’attacco del multilateralismo con Messico e in Europa.
Stando a fonti di Bruxelles degli ultimi giorni, Washington potrebbe imporre tariffe sui prodotti europei per circa 7 miliardi di euro, colpendo aerei e parti di aerei prodotte in Europa ma anche altri settori, in primis l’agroalimentare.
Il documento del Wto stabilirà l’entità delle compensazioni che gli Usa potranno chiedere all’Ue.
Chi rischia di più in Italia
«Una decisione del genere ci farebbe molto molto male», ha detto il premier Giuseppe Conte durante l’evento Coldiretti di questo ultimo weekend, assicurando che «ce la metterà tutta» per evitare i dazi. «Non è facile. Siamo in un quadro di negoziato in cui gli Stati Uniti difendono i loro interessi nazionali e, come sempre, anche noi lo facciamo».
I 10 settori italiani più attivi nell’export statunitense e che potrebbero subire un brusco arresto sono:
macchinari e apparecchiature: 7.878,5 miliardi di dollari;
autoveicoli e rimorchi: 5.111,7 miliardi di dollari
navi, locomotive, aerei e mezzi militari: 3.840,9 miliardi di dollari;
farmaceutica: 3.722,5 miliardi di dollari;
prodotti di altre industrie manifatturiere: 2.239,5 miliardi di dollari;
alimentari: 2.160,4 miliardi di dollari;
bevande: 1.953,0 miliardi di dollari
prodotti chimici: 1.893,9 miliardi di dollari;
prodotti in pelle (no abbigliamento): 1.724,9 miliardi di dollari;
abbigliamento: 1.611,1 miliardi di dollari.
«La produzione di falsi Parmigiano Reggiano e Grana Padano nel mondo ha superato quella degli originali con il diffondersi di imitazioni in tutti i Continenti che toglie spazi di mercato ai simboli del made in Italy», ha denunciato Coldiretti, sottolineando il rischio di un’incremento di questo genere di fake a seguito dell’introduzione dei dazi.
Il Parmigiano potrebbe costare in America fino a 20 euro in più al chilo, mentre l’olio, il vino e lo spumante potrebbero costare fino a 28 centesimi in più a bottiglia. Le esportazioni manifatturiere e di autoveicoli vedrebbero un rallentamento della crescita dello -0,2% nel 2019 e -0,6% nel 2020.
(da Open)
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