DI CLONI DEI DUE BULLI DI COLLEFERRO SE NE VEDONO OVUNQUE SI CELEBRI L’APOTEOSI DEL MASCHIO VINCITORE, DAL TALENT ESTREMO ALLE STORIE SU INSTAGRAM
I DUE SONO STATI SEGUACI OTTUSI DEL VERBO CORRENTE CHE PREDICA INTOLLERANZA
I fratelli Marco e Gabriele Bianchi avranno lavorato sodo anni e anni. Ci vuole perseveranza per costruirsi addosso l’immagine standard dei truci spaccaossa. Solo quando hanno intuito che avrebbero pagato molto cara la loro «leggerezza» di aver ammazzato di botte un ragazzino inerme, ecco che si sono scoperti bravi figli di mamma.
Quando l’ombra dell’ergastolo è cominciata ad allungarsi su di loro, i due picchiatori di paese hanno cercato di cambiare pelle. Hanno capito che la loro narrazione epica, funzionale per indurre timore, li avrebbe portati a essere percepiti dalla collettività come mostri di spietatezza.
Ecco quindi il tentativo di ricostruirsi un’immagine in extremis con quella lettera alla madre di Willy, in cui scrivevano che, se avessero ucciso suo figlio, mai avrebbero avuto il coraggio di guardarla come guardano la loro mamma.
Certo, immaginiamo tutti che sicuramente ci sarà stata una mamma che stirava loro le camicie, a completare l’accurata iconografia con cui amavano rappresentarsi. Le pose marziali, i tatuaggi, i muscoli pompati, il cipiglio da duri e tutti i possibili espedienti per essere alla fine i primi tra gli sfigati, auto eletti al vertice della catena alimentare dei portatori di griffe
La mossa della catarsi mammona se la potevano anche risparmiare, non è servita a far cambiare di una virgola la presunzione pubblica della loro colpevolezza, anche la sentenza è arrivata che più dura non si può. Il qualunquismo da strada che oggi commenta quell’ergastolo non faticherà a fare la ola. Ci sarà persino chi andrà oltre; come degno epilogo di questa storia schifosa, dirà che i due fratelli si sarebbero meritati la pena di morte.
Purtroppo la vicenda non ispira commenti edificanti, ancora più improba è la fatica di cercare conforto nell’idea che si sia fatta giustizia. Tutto da subito è sembrato il più prevedibile esito di una limacciosa spietatezza, tollerata e fomentata. Un pensiero rasoterra che sta da troppo tempo inghiottendo, come una palude di sabbie mobili, quello che con grande fatica avevamo costruito lungo un impervio percorso di civilizzazione nazionale.
È tutta colpa dei media! Sicuramente è così. È anche la spiegazione che si sono data i due Bianchi alla lettura della sentenza in aula. Certo ,sono stati tv e giornalisti a rappresentarli come mostri, però solo questo pretendeva il loro accurato maquillage
Hanno fatto di tutto per assomigliare a quanto di più spocchioso e farlocco giganteggi nei luoghi canonici del fermento sub culturale.
Di cloni dei due bulli di Colleferro se ne possono trovare a bizzeffe, se ne vedono ovunque si celebri l’apoteosi del maschio vincitore, dal talent estremo alle storie su Instagram.
I fratelli Bianchi sembravano essere stati sfornati dalla catena di montaggio del modello più economico di pupazzume anabolizzato e arabescato, in loro era condensato tutto ciò che oggi incarna l’esempio vincente del machismo spavaldo da pugnal tra i denti e ali di gabbiano.
Oggi i due pagano l’imperdonabile zelo di aver portato fino alle estreme conseguenze un pensiero che conquista sempre più seguaci, è la falsa promessa che il malessere contemporaneo può essere sanato solo se si estirpa tutto ciò che sembra «politicamente corretto».
Sono stati seguaci ottusi del verbo corrente che predica intolleranza, hanno frantumato a pugni e calci l’esistenza del più fragile dei loro concittadini, senza nemmeno l’ombra di un motivo apparente. Hanno infierito a morte perché lo avranno considerato come un sacco per esercitare il loro perfetto stile di combattimento. Una lezione par fargli capire che loro erano i Bianchi, mentre lui invece era solo un nero.
(da la Stampa)
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