DI MAIO ORA VUOLE INTESTARSI LA MEDIAZIONE CON IL PD: SI CERCA UN ACCORDO PER LE MARCHE E PER I COMUNI CAMPANI
MA SI INIZIA A GUARDARE A UN ACCORDO PER IL VOTO DELL’ANNO PROSSIMO A ROMA, MILANO, NAPOLI, TORINO E BOLOGNA
Se son rose fioriranno, ma per coglierle si dovrà eliminare una quantità enorme di spine. L’avvicinamento ferragostano tra Pd e M5s passa per una diffidenza marcata di robusti pezzi di entrambi i partiti, per la richiesta, reiterata ancora oggi, di Nicola Zingaretti di prendere i soldi del Mes, per la resistenza di larghi pezzi di 5 stelle nel chiudere alleanze locali.
E’ Luigi Di Maio ad essersi intestato l’operazione. I vertici pentastellati sono rimasti disorientati da quello che un membro del governo definisce “il colpo di mano di Davide Casaleggio”.
Il figlio del co-fondatore ha imposto il doppio voto, quello sui mandati per sindaci e consiglieri comunali e quello sulle alleanze, all’insaputa di un buon pezzo della classe dirigente.
L’ex capo politico, invece di subirlo, ha deciso di cavalcarlo. Quindi prima l’endorsement per i due sì, nonostante il sentiment iniziale della base virasse decisamente per la bocciatura del quesito sugli accordi con i partiti.
Poi il riannodarsi del filo con Beppe Grillo, con il quale i rapporti sono tornati a farsi decisamente sereni.
In queste ore è febbrile il lavorio per tentare un accordo in extremis nelle Marche e in Puglia. A Di Maio, a Vito Crimi e in generale a tutti i colonnelli M5s non dispiace l’idea avanzata dal sindaco di Pesaro Matteo Ricci: un tandem che preveda il Dem Maurizio Mangialardi correre come presidente e il grillino Gianni Mercorelli quale suo vice. Un’ipotesi che non piace ai quadri locali dei 5 stelle, ma sul quale in questi giorni è in forte pressing la dirigenza romana: “Mangialardi non è uno di struttura – spiega un deputato che lavora da settimane al dossier – è un nome nuovo. Non capisco i nostri: da soli prendiamo percentuali da prefisso telefonico, insieme possiamo vincere”. E’ una vera è propria corsa contro il tempo, considerato che il 20 vanno presentate le liste.
Il senso del cambiamento che sta avvenendo in queste ore è dato dalla Puglia.
E’ in corso un tentativo estremo per convergere su Michele Emiliano. Osteggiato più dai parlamentari pugliesi che non dai leader nazionali, da Crimi in giù.
Da par suo Francesco Boccia le sta tentando tutte: con i 5 stelle nelle liste del governatore uscente una riconferma sarebbe molto più probabile.
E sottotraccia continuano a muoversi sia Giuseppe Conte sia il suo braccio destro, il sottosegretario pugliese Mario Turco. “Difficile che si chiuda – ragiona un dirigente M5s – ma dopo il voto su Rousseau lo scenario è cambiato, ci stiamo provando”.
Raccontano che quello di Casaleggio sia stato un tentativo figlio più di una voglia di affermare il suo potere all’interno del Movimento che di una convinzione politica.
Ma che si sia rivelato sostanzialmente un boomerang. Da un lato alienandogli ancor più tutti quelli che già mal digerivano il suo ruolo nel partito, dall’altro fornendo un assist ai progressisti che da tempo spingono in direzione del centrosinistra.
Un vuoto in cui si è inserito Di Maio. Che parla constantemente con il capo delegazione del Pd al governo, Dario Franceschini, e che continua a mandare segnali a Nicola Zingaretti, sia sulla legge elettorale sia (anche se più ondivaghi), sui migranti.
In Sardegna è stato benedetto il simbolo comune per le suppletive che dovranno eleggere un senatore vacante, due baffi, uno rosso e uno giallo, sotto il nome del candidato pentastellato, un’operazione comune per cercare di puntellare i numeri a Palazzo Madama. E continua il lavorio per trovare un’intesa in una serie di comuni dell’hinterland napoletano chiamati al voto.
C’è in ballo Pomigliano D’Arco, paese natale del ministro degli Esteri, insieme a Giugliano, Marigliano e Caivano. Un risiko dal valore simbolico più che empirico, che tra strappi e frenate potrebbe arrivare a una soluzione nel giro di brevissimo tempo.
Ma l’operazione che Di Maio sta mettendo in piedi, d’intesa con Grillo, ha un respiro più lungo. C’è già chi la definisce il Patto delle cinque città .
Nella consapevolezza che sulla tornata settembrina si rischia di arrivare fuori tempo massimo, in queste settimane si stanno ponendo le basi per un dialogo sulle cinque comunali più importanti dell’anno prossimo: Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna.
Le incognite sono infinite, ma se si vuole sbrogliare la matasse occorre partire da subito. C’è già chi parla di uno schema: Milano, Torino e Bologna al Pd, Roma e Napoli a M5s. L’incontro tra Grillo e Beppe Sala è stato il primo mattoncino, e le vesti non stracciate in casa grillina in caso di un passo indietro di Chiara Appendino, che deciderà tra settembre e ottobre, il secondo.
A Bologna lo scenario più semplice, a Napoli l’incognita Luigi De Magistris. Ma il nodo più difficile da sciogliere è l’auto-ricandidatura di Virginia Raggi a Roma.
“Al momento è un candidato debole – si ragiona in casa pentastellata – ma un anno è lungo, e se arriva al ballottaggio può succedere di tutto”.
La sensazione è che, se il Patto delle cinque città maturasse, chiederle un passo indietro non sarebbe fantascienza. Se son rose, fioriranno. A meno di non venir dissanguati prima dalla marea di spine sul cammino.
(da “Huffingtonpost”)
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