DICIOTTI, VINCE L’UNICO ERITREO CHE HA RESISTITO: “PRIVAZIONE ARBITRARIA DELLA LIBERTA’ PERSONALE, L’ATTO POLITICO NON PUO’ LEDERE I DIRITTI”
IL LEGALE: “IL MIO CLIENTE CHIEDE GIUSTIZIA, NON SOLDI, AVEVA DIRITTO AL DIRITTO DI ASILO CHE INFATTI GLI E’ STATO RICONOSCIUTO IN GRAN BRETAGNA, DOVE ORA VIVE E LAVORA”
È soddisfatto, certo, ma anche amareggiato, quasi incredulo: “In questo Paese regna l’ignoranza, al momento non c’è alcun risarcimento: la Cassazione ha solo confermato che un atto che incide sui diritti fondamentali non può essere un atto politico sottratto al controllo giurisdizionale e che le persone private illegittimamente della libertà personale hanno diritto al risarcimento”, dice l’avvocato Alessandro Ferrara, che due giorni fa ha ottenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione un’ordinanza che, ribaltando il giudizio della Corte d’appello di Roma, riconosce il diritto al risarcimento del danno a uno dei cittadini eritrei bloccati per dieci giorni sulla nave militare Diciotti nell’estate del 2018. Prima in mezzo al mare e poi sul molo di Catania, circondati da uomini armati.
Da due mesi al Viminale c’era Matteo Salvini che chiudeva i porti, non solo alle odiate Ong, ma pure alle navi della Marina Militare che avevano soccorso i migranti. Governo Conte-1, M5S-Lega. Gli altri 40 eritrei che a suo tempo chiesero i danni, due anche per i figli minori bloccati sulla Diciotti con loro, dopo le sberle prese in primo e secondo grado hanno rinunciato alla Cassazione. Il risarcimento non lo vedranno neanche col binocolo, come gli altri bloccati sulla nave, mentre maggioranza e opposizione ieri si accapigliavano a suon di “paghino i giudici” e “paghi Salvini”, con qualcuno che diceva “paghi anche Conte”. Se ci sarà da pagare saranno al massimo 1.600 euro, 160 per dieci giorni, più le spese legali.
Il giovane eritreo, che oggi ha passato i 40 anni e vive nel Regno Unito, ha poi ottenuto l’asilo come tanti altri connazionali. In Eritrea c’è una dittatura. “L’hanno riconosciuto come una persona estremamente vulnerabile, anche per quello che gli era successo in Italia. E ora chiede giustizia – spiega Ferrara –, non soldi. L’ho avvertito della decisione della Cassazione ma non sono ancora riuscito a parlarci, se vorrà torneremo davanti alla Corte d’appello di Roma che stabilirà il risarcimento: 160 euro per ogni giorno di detenzione, dunque dieci o in subordine sei”, a seconda che calcolino solo i giorni trascorsi in porto o anche quelli passati in mare prima che Salvini li facesse entrare in porto. A Catania ci fu anche una grande manifestazione per liberarli. “Quando finalmente li hanno fatti sbarcare li hanno mandati a Roma – racconta l’avvocato Ferrara, che fa parte del team di Legal Aid-Diritti in movimento –, noi li abbiamo incontrati nel centro Baobab sulla via Tiburtina. Erano terrorizzati, in Italia non hanno mai chiesto asilo dopo quello che avevano vissuto. Appena hanno potuto sono spariti e quasi tutti hanno ottenuto l’asilo: in Belgio, in Francia, in Germania, nel Regno Unito. Temevano che anche fare ricorso pregiudicasse il permesso di soggiorno ottenuto”. C’è un ricorso anche alla Corte europea dei diritti umani che si trascina da anni.
La storia conviene ricordarla. L’avvistamento a Ferragosto del barchino con 190 persone a bordo in acque sotto la responsabilità maltese, l’intervento delle motovedette e del pattugliatore Diciotti, lo scontro con Malta, lo sbarco di minori non accompagnati e malati a Lampedusa, il porto assegnato a Catania e poi lo stallo, gli sbarchi alla spicciolata, le trattative con i partner Ue per ricollocare qualcuno qua e là, fino alla soluzione il 26 agosto. Salvini fu indagato per sequestro di persona dopo che l’allora Garante dei detenuti Mauro Palma era andato a vedere la situazione, gli atti da Palermo passarono a Catania, il procuratore etneo Carmelo Zuccaro chiese l’archiviazione ma il Tribunale dei ministri la negò e chiese l’autorizzazione a procedere, ma la Giunta del Senato la negò perché era stato appunto un “atto politico”, non sindacabile.
Su questa stessa base il Tribunale di Roma nel 2019 ha respinto il ricorso, la Corte d’appello nel 2024 ha fatto lo stesso ma con altra motivazione: mancava la prova del danno e quella della colpa delle pubbliche amministrazioni. E mercoledì si è pronunciata la Cassazione: a Sezioni unite perché si discuteva anche della giurisdizione ordinaria o amministrativa, ma con ordinanza e cioè senza nemmeno tenere pubblica udienza.
La Suprema Corte ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno causato dalla “illegittima restrizione” della libertà personale “in violazione dell’articolo 13 della Costituzione”. “L’azione del governo, ancorché motivata da ragioni politiche – scrive il relatore Emilio Iannello – non può mai ritenersi sottratta al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati”.
(da ilfattoquotidiano.it)
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