DILETTA CAPOBIANCO, ORFANA DI FEMMINICIDIO: “LO STATO NON DEVE LASCIARCI SOLI”
“ESTERREFATTA PER I FONDI NEGATI DAL GOVERNO”… QUANDO SALVINI SOTTO ELEZIONI FACEVA PROMESSE NON MANTENUTE
Diletta Capobianco non se ne capacita. “Di fronte a certe notizie resto sempre esterrefatta”, dice, commentando la bocciatura in Commissione Bilancio dell’emendamento alla manovra economica presentato dalla vicepresidente della Camera, Mara Carfagna, per stanziare, in un fondo dedicato, dieci milioni di euro a supporto delle famiglie che si prendono cura degli orfani di femminicidio.
Anche lei, Diletta, è un’orfana di femminicidio. Sua mamma è stata ammazzata a Cesena il 31 maggio 2012, lei aveva 14 anni, suo fratello Christian ne avrebbe compiuti sette qualche mese dopo. Si chiamava Sabrina Blotti, uccisa da Gaetano Delle Foglie, uno stalker che si era invaghito di lei, al quale aveva cercato in molti modi di sfuggire e che aveva denunciato, invano.
Diletta oggi di anni ne ha venti, studia alla facoltà di informazione, media e pubblicità dell’Università di Urbino e vive tra Cesena, Urbino e Madrid dove sta portando a termine il suo Erasmus “per accelerare il percorso universitario e iniziare quanto prima la carriera da giornalista – spiega con tono determinato – mi piacerebbe occuparmi di cronaca nera, la mia esperienza mi ha ispirato”.
La notizia della bocciatura dell’emendamento – e il commento durissimo della Carfagna, che l’ha definita “una bastardata” – l’ha raggiunta in Portogallo.
Parlando con HuffPost, non nasconde la sua indignazione, concentrata in una raffica di interrogativi. “Com’è possibile che non si voglia progredire in questo senso quando, dati alla mano, sta succedendo il finimondo? – chiede Diletta – Davvero si vuole continuare a far passare il messaggio che il femminicidio sia una questione privata? Possibile che per rendersi conto di quanto un fatto del genere stravolga la vita bisogna aspettare che tocchi da vicino ognuno di noi? Anche a me sembrava una cosa lontana, pensavo non mi sarebbe accaduto, che mai avrei vissuto un’esperienza simile e invece può succedere a tutti, da un momento all’altro”.
Diletta lo sa com’è ritrovarsi, da un momento all’altro, senza baricentro, senza il riferimento rappresentato dalla mamma, sa cosa significa dover reimpostare la propria vita attorno a un’assenza che diventa presenza fissa nella mente e nel cuore, e un dolore incancellabile.
Lei e il fratellino, che adesso ha tredici anni, hanno potuto contare sul papà , Giovanni Capobianco. “Nella sfortuna noi siamo stati diciamo fortunati perchè abbiamo avuto papà , che ha pensato a noi in tutto e per tutto”, spiega Diletta. Che vuol dire farsi carico anche del supporto psicologico per lei.
Come sono obbligati a fare, nella stragrande maggioranza di casi, i familiari che si prendono cura dei figli delle donne uccise dagli uomini in quanto donne, quasi sempre bambini, che si trovano ad affrontare un trauma impossibile da superare senza un adeguato supporto terapeutico e in alcuni casi anche farmacologico.
Diletta ricorda che, subito dopo il femminicidio della mamma, “fu offerta a mio padre la possibilità di far seguire a mio fratello un percorso con uno psicoterapeuta dell’Asl. Lui valutò la proposta, ma poi fu deciso di non accettare, anche perchè mio fratello non ha mai manifestato segnali tali da richiedere l’intervento di un supporto esterno alla famiglia. Io, invece, ho chiesto di essere seguita da una psicologa e per un breve periodo ho seguito un percorso terapeutico”.
Diletta ha saputo subito come era morta la mamma, Christian all’inizio di quest’anno, dopo l’intervista rilasciata dalla sorella alla trasmissione televisiva “Amore criminale”.
“Quando è successo il fatto era troppo piccolo, ora ha tredici anni – dice Diletta – abbiamo pensato che era meglio sapesse adesso e da noi come sono andate realmente le cose. Mio padre si è risposato con una donna che non ci ha fatto mancare affetto e sostegno, Christian vive in una famiglia di cinque persone in cui si dialoga molto. Papà ha fatto di tutto per farci crescere il più serenamente possibile”.
Giovanni Capobianco ha intrapreso una causa contro lo Stato per chiedere un risarcimento.
“Lo ha fatto – puntualizza Diletta – perchè la denuncia di mamma, dalla quale si stava separando ma non era divorziato, contro lo stalker che le stava rendendo la vita impossibile, non è stata presa in considerazione. Come quella della dottoressa che lo aveva in cura, Delle Foglie le aveva confidato i suoi propositi omicidi”.
In un’intervista, Capobianco ha spiegato: “Mia moglie non è stata protetta e allora ho scelto di fare causa allo Stato, agisco da solo e per conto dei miei figli, che hanno subito un danno irreparabile”.
Quando Sabrina Blotti è stata uccisa non c’era ancora una legge che tutela gli orfani di femminicidio, approvata poco meno di un anno fa, “ma la presenza dello Stato noi non l’abbiamo sentita per niente. Anzi, per entrare in possesso dei beni che aveva lasciato mia mamma, che erano nostri, legittimi, io, mio fratello e nostro padre abbiamo dovuto pagare. Credo che questo dica molto”.
La presenza dello Stato, già .
“Perchè – chiede ancora Diletta – le parole di mamma e della dottoressa che curava Delle Foglie sono state sottovalutate? C’erano i presupposti, nero su bianco, per intervenire. E per quale motivo, poi, i figli di queste donne uccise dagli uomini vengono lasciati soli? Leggo di nonni che si prendono cura dei nipoti bambini e mi chiedo cosa ne sarà di questi piccoli quando, sperando il più tardi possibile i nonni non ci saranno più? Lo Stato ha il dovere di farsi carico del dolore e dei sacrifici che affrontano queste persone. Poi, certo, nessun risarcimento potrà colmare una perdita così importante. Essere orfani di femminicidio vuol dire tante altre cose”.
Per esempio prendere il diploma del liceo scelto insieme alla mamma – “mi era stata consigliata una scuola più facile, ma io le avevo promesso che lo avrei finito – e non poter condividere la gioia con lei, cercarla nel volto delle mamme dei compagni, dover fare a meno dei suoi abbracci, chiedersi che cosa avrebbe pensato delle scelte di ogni giorno. Ritrovarsi senza baricentro da un momento all’altro e tutto per la follia di un uomo, che in tanti casi è il proprio padre.
“La vita degli orfani di femminicidio è segnata per sempre, il dolore resta, ma una presa di coscienza e gesti concreti da parte delle Istituzioni possono renderlo più sopportabile”.
Diletta ha scelto di non tenere sempre e solo dentro di sè tutto quel dolore, di battersi perchè storie come le sue non si ripetano, partecipa a incontri e conferenze, “ma possiamo testimoniare quanto vogliamo, se in questa che è una battaglia culturale non abbiamo il supporto di chi ci governa non andremo molto lontano”.
E qui torna la bocciatura dell’emendamento presentato da Mara Carfagna, che ieri dal suo blog su HuffPost ha manifestato l’intenzione di andare avanti nella battaglia.
(da “Huffingtonpost”)
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