“DISSANGUATI TRA GLI ESCREMENTI, COSI’ SI MUORE NELLE CARCERI DI ASSAD”
L’INTERVISTA ALL’EX STUDENTE INCARCERATO PER AVER PARTECIPATO A UNA MANIFESTAZIONE CONTRO IL REGIME CRIMINALE, MITO DEI SOVRANISTI ITALIANI
“Non ci sono parole per descrivere l’orrore che ho vissuto” nel carcere di Sednaya, la prigione siriana dove, secondo le accuse degli Usa, il presidente Bashar Al Assad utilizza forni crematori per disfarsi delle vittime. “Vivevamo in 50 in una cella di 10 metri per cinque. Qualche volta eravamo 70. Cinque giorni a settimana, nel pomeriggio, venivamo convocati per le sessioni di tortura: duravano ore, se eravamo fortunati”.
A parlare, in un’intervista a Repubblica, è Omar Abu Ras, ex studente di economia arrestato nel dicembre del 2012 per aver partecipato a una manifestazione anti-Assad. In tutto ha trascorso 29 mesi in cella, girando per cinque diverse prigioni gestite dai servizi segreti siriani, tra cui appunto il carcere di Sednaya.
Racconta Omar a Repubblica:
“A volte [la tortura] consisteva solo nel costringerci a stare in piedi. Altre volte eravamo infilati in una ruota, in modo che spuntassero solo mani e piedi: e ci colpivano con cavi elettrici. In condizioni normali si andava dalle 30 alle 40 sferzate. Ma se c’era una sconfitta militare, un avanzamento dei ribelli, le sferzate diventavano centinaia”.
Questa la giornata tipo di un detenuto:
“Ci svegliavamo alle 5.30. Ogni cella aveva un capocella responsabile di controllare che tutti fossero in piedi. A quel punto c’era l’appello: alcuni finivano in un ospedale dove avrebbero dovuto essere curati. Ma nessuno è mai tornato da lì. Altri alla tortura. Altri agli interrogatori, che poi erano una forma di tortura. Eravamo nudi, tutto il giorno: potevamo andare al bagno solo 2 volte al giorno, in fila, piegati con la testa sul sedere della persona davanti. Una volta in bagno avevamo dieci secondi: poi ci buttavano fuori. Dovevamo andare al bagno, lavarci e bere, perchè non c’era acqua in cella”.
Il ricordo più terribile di questo ragazzo di 28 anni è “la morte di un uomo che avrebbe potuto essere mio nonno”:
“Si chiamava Abdulmajid al Majah. Era marzo 2013 e lui aveva più di 70 anni: stava male, si muoveva lentamente e quindi i secondini gli davano più tempo per andare al bagno. Una volta era di turno una guardia particolarmente feroce che per punirlo della lentezza lo ha costretto a gettare la sua dentiera negli escrementi e poi a rimettersela in bocca. Poi gli ha spaccato la testa con un colpo: quando mi sono girato era a terra, con la bocca piena di escrementi, la testa rotta, il sangue. Non abbiamo potuto fare nulla, non potevamo lavarlo, nè fermare il sangue. È morto così”.
(da “Huffingtonpost”)
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