DON GALLO: PRETE CONTROCORRENTE DALLA PARTE DEGLI ULTIMI
SI VANTAVA DI NON ESSER MAI ENTRATO IN UNA FARMACIA PER 84 ANNI”, RACCONTANO TRA LE LACRIME ALLA COMUNITà€ SAN BENEDETTO AL PORTO
Andrea è nel suo archivio”. Nella stanza di pochi metri quadrati, con quel quadro all’ingresso dove si intravvedono figure piegate dal dolore, ma anche uno squarcio di cielo.
Con quella porta stretta che a migliaia hanno varcato per cercare consolazione.
Come in un giorno qualsiasi, uno delle migliaia di questi 43 anni della comunità di San Benedetto al Porto.
Ma oggi è l’ultimo giorno. Don Andrea Gallo se n’è andato.
Dopo aver vissuto ogni minuto della sua esistenza in prima linea, ha deciso di partire con la massima discrezione.
Come fosse un giorno qualunque.
“Portatemi nel mio studio”, ha chiesto nei giorni scorsi tornando dall’ospedale.
Sapeva, sentiva, che l’orizzonte era vicino. Ma nessun addio, nessuna frase solenne.
E pensare che appena un mese fa era ancora lui. Certo, ormai sottile e trasparente come una foglia. “Poi all’improvviso ha detto che non dormiva più”, racconta Domenico Chionetti, il portavoce della Comunità di San Benedetto al Porto.
L’acqua nei polmoni.
In poche settimane il prete si è spento, lui che “in 84 anni non era mai entrato in una farmacia, non per sè, almeno”.
Ha chiesto soltanto di essere sistemato nella stanza dove da decenni chi ha bisogno di lui sa di poterlo trovare.
In una brandina nel suo studio, davanti agli occhi un’immagine della Madonna. In mezzo alle carte e ai libri di preghiera e di Gramsci.
Accanto a quella scrivania dove ha passato una vita a parlare e ascoltare. Dalla finestra affacciata sul porto si vedono le navi, i gabbiani spinti a terra dal vento di libeccio che spazza via le nuvole.
E si vede Genova cui Andrea Gallo è rimasto saldamente legato, nonostante i periodi passati nelle favelas del Brasile e nelle carceri.
A guardarla di qui, dalla Comunità di San Benedetto, ti pare una giornata qualsiasi: il traffico, i passanti. Non sa ancora, la città , che don Gallo non c’è più. Ma lui ha voluto così.
Che la notizia della malattia arrivasse all’ultimo, anche per la sua Genova.
Che la morte fosse davvero un momento della vita, pure se l’ultimo.
Andrea è rimasto lì per giorni. Le mani sempre pronte a restituirti la stretta, ma gli occhi puntati verso un luogo sempre più inaccessibile.
Come se tenesse aperta la porta, se mostrasse ai suoi amici che proseguire è possibile.
Accanto c’erano i volti di sempre: Paola, Domenico, Giambattista, Cinzia.
Soltanto più silenzio. E quello sguardo che fuggiva verso l’archivio, dove c’era Andrea con Lilli, con due i nipoti.
Dove stava accadendo qualcosa di grande e terribile.
“Vorrei piangere”, racconta Lucia sulla porta, “Vorrei, ma gli farei torto, a Gallo, che mi ha ridato la vita. Che mi ha insegnato a sperare”.
Sì, Dio sembrava più vero attraverso le parole di Andrea: “Credevamo a Dio perchè aveva Gallo come testimone”, prova a scherzare qualcuno.
Don Andrea che si è sempre definito “prete”. Più che religioso, più che sacerdote. Proprio prete.
Sono arrivati in tanti, anche il cardinale Angelo Bagnasco e don Andrea per riceverlo ha voluto essere vestito l’ultima volta.
Ma soprattutto ci sono i ragazzi della Comunità . Si chiamano sempre così, “ragazzi”, anche se sono passati decenni da che sono entrati la prima volta dal portone.
Se hanno magari sessant’anni, se i tatuaggi sui bicipiti sono deformati dall’età che svuota tutti. “Sai”, dice una donna che ti prende sottobraccio, “io tante volte in questi anni ho immaginato questo giorno. La morte di Andrea, intendo. Come avviene con il papà ”.
Padre, stupisce sentire tante volte questa parola per un sacerdote.
“Davvero Andrea ha avuto tanti figli. Lui prete li ha avuti attraverso di noi, i nostri bambini che sono nati perchè Andrea ci ha tolti dalla strada e salvati. Senza Gallo non sarebbero mai nati”, racconta Daniela.
Davvero è così: “C’erano anni che ogni settimana morivano dei giovani. Che cercavamo disperatamente comunità che li ospitassero per salvarli. Spesso era impossibile trovarne. Ma lui, don Gallo, apriva le porte a tutti. Sempre”, racconta un magistrato che conosceva Gallo da decenni.
Oltre al personaggio pubblico don Andrea è stato anche, soprattutto, questo.
I mobili di legno annerito, il pavimento con i disegni consumati.
Una canonica come tante, ma di queste poche stanze don Gallo ha fatto uno dei centri di gravità di Genova. Città in crisi, di coscienza prima che economica, e però fino a ieri sapeva che c’era questo prete a prendersi cura di lei.
Le alluvioni, il G8, gli scandali, don Gallo come i patriarchi delle famiglie era una di quelle figure che aiutano a non smarrirsi.
Ora dovrà cavarsela da sola. Genova, ma anche la Comunità : “Siamo una grande famiglia, cinquanta dipendenti. Centinaia di volontari. Ce la faremo”, assicura Chionetti.
Ma non sarà facile. Bisognerà trovare una nuova guida. Un sacerdote, forse, ma chi?
Don Federico Rebora, il parroco che ha seguito Gallo per 42 anni, ha 85 anni. Andrea istrionico, incontenibile, Federico mite, riservato.
Già , don Gallo doveva consolare, non ha avuto tempo per parlare di sè, della propria fine.
Di quel passaggio ha lasciato soltanto un messaggio indiretto, nelle prediche dei tanti funerali che ha dovuto celebrare: “Non è facile imparare a morire. Non è facile obbedire fino alla morte e quindi fare obbedienza alla morte. Non è facile fare di essa un dono di amore per la famiglia e per gli amici”, disse in una predica riportata nel suo ultimo libro “In viaggio con Francesco”, uscito proprio in questi giorni.
“Quando di sera tornavo a casa, sulla sopraelevata che attraversa il porto, guardavo verso la finestra di don Gallo. La vedevo spesso accesa. Ora Genova è più sola”, racconta Adriano.
Sono le 17,45 quando don Andrea lascia andare l’ultimo respiro.
Qualcuno corre in chiesa. Altri lo cercano sul terrazzino pieno di gerani, di rosmarino.
Una ragazza apre la finestra dello studio e la spalanca verso la città .
Come raccontò don Andrea: “Gesù disse… Vi ho tenuta nascosta una cosa che ora non posso più nascondervi: devo proprio partire. Addio”.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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