DUE GOVERNI, DUE MANOVRE
CONTE (CON TRIA E DI MAIO) FRENA SULLA FLAT TAX E AVALLA UN MINI-TAGLIO DEL CUNEO FISCALE… COSI SVENTOLA UN DRAPPO ROSSO SOTTO IL MUSO DI SALVINI
Metà pomeriggio, 16.40 circa. Matteo Salvini è alla Galleria del Cardinale, ala maestosa del principesco palazzo Colonna, per un convegno sul 5G organizzato dalla associazione ‘Fino a prova contraria’ di Annalisa Chirico.
à‰ passata appena un’ora e mezza dal faccia a faccia con Luigi Di Maio ed è già tempo di una nuova provocazione: “Voglio ancora capire quale è l’idea di manovra economica per il Paese”.
E poi giù con il ritornello del governo che non deve obbedire a Bruxelles, corredato di messaggio-diktat ai 5 stelle, a Giuseppe Conte e a Giovanni Tria: “O tutti sono disponibili” a essere “coraggiosi” nei confronti dell’Europa o questo è un problema.
In quello stesso momento, a 500 metri di distanza, il premier è chiuso a palazzo Chigi con i leader di Cgil, Cisl e Uil. Con lui c’è Di Maio, Tria arriverà poco dopo perchè impegnato in un’intervista in tv, ci sono ministri e sottosegretari pentastellati. Per la Lega non c’è nessuno.
Conte detta i tempi della manovra, che non sono quelli di Salvini. Frena sui sogni fiscali del Carroccio, parlando di un disegno ancora da costruire. Lo spin velenoso dei 5 stelle completa il quadro: “C’è Tria, questo è il vero vertice sulla manovra”.
Altro che il tavolo che si è tenuto al Viminale dieci giorni fa. Ci sono due governi, due manovre. Da un lato Conte e Tria, con i 5 stelle che provano ad accodarsi. Dall’altro la Lega, furibonda per le mosse della triplice alleanza.
Eccolo il drappo rosso di Conte posizionato sotto il naso di un Salvini che freme per incassare, provando a travolgere tutto, a iniziare dalla prudenza del premier e del ministro dell’Economia sui conti pubblici e su una legge di bilancio che tutto può fare tranne che stravolgere il già fragile compromesso raggiunto per ben due volte con Bruxelles in appena sei mesi.
Le parole del vicepremier sull’informativa di Conte in Senato bruciano e il presidente del Consiglio decide di replicare provando a sfidare Salvini sul terreno conteso da mesi, probabilmente da quando il governo è nato: la titolarità dell’esecutivo, la patria potestà da imporre sui figli ribelli che litigano, brandiscono crisi e poi si riparlano, ma che intanto non si preoccupano dei danni che provocano al Paese.
A testa bassa – questa è l’immagine che Conte vuole dare di sè – il premier riparte dall’abc dell’azione di governo: riperimetrare i confini del suo ruolo, provare a farlo quantomeno.
Il primo tentativo di Conte si gioca sulla manovra. Se Salvini continua a spingere per arrivare a un testo già ad agosto, tirando dentro la flat tax, il premier invoca prudenza, chiede e promette collaborazione ai sindacati.
Soprattutto – e qui emerge il primo elemento della declinazione doppio governo per una doppia manovra – detta i tempi.
La road map di palazzo Chigi dice lavorare ad agosto e nuovo confronto a settembre con le parti sociali. Sono i tempi classici, quelli che solitamente caratterizzano la genesi della legge di bilancio, che va presentata in Parlamento entro il 20 ottobre.
Niente anticipi, niente fughe in avanti. La convinzione è forte e radicata: sono passate poche settimane dal rischio di ritrovarsi scaraventata addosso la procedura d’infrazione per debito eccessivo, lo spread è ritornato sotto i 200 punti, la nuova Europa è in fase di avvio e tutt’altro che orientata ad avere un atteggiamento di favore nei confronti dell’Italia.
I tempi, insomma, sono tutt’altro che maturi. E proprio nel giorno in cui la Lega rilancia la flat tax, con nuovi dettagli sull’impianto e sui costi, Conte azzoppa tutto: “Va chiarito un punto: non c’è ancora alcun progetto di riforma fiscale a livello istituzionale. Siamo ancora alla fase della elaborazione e nella quale raccoglieremo anche le vostre istanze”, dice rivolgendosi ai leader dei sindacati.
Non ci sono numeri e tabelle, ma solo idee e parametri, questi sì chiari.
Tocca a Tria illustrarli in un’intervista a Skytg24: il deficit sarà “contenuto”. Anche qui uno stop a Salvini: va bene tutto, va bene allungare la lista della spesa ma nessuna illusione su un extra-deficit salvifico da parte di Bruxelles o una trattativa così spinta da parte dell’Italia. Un punto di contatto c’è, anche se tutto da costruire e anche qui i tempi non coincidono. Gli 80 euro di Renzi scompariranno e si trasformeranno in minori tasse. Un’operazione fiscale che permetterà di recuperare 10 miliardi (la spesa per finanziare gli 80 euro ndr.) e di metterli a disposizione per tagliare l’Irpef attraverso il meccanismo della flat tax.
Ma c’è bisogno di tempo perchè per la flat tax servono almeno 12-15 miliardi e quindi sarà necessario tagliare alcune detrazioni.
à‰ un lavoro delicato, spiega il ministro dell’Economia, perchè il campo è minato: ci sono le agevolazioni fiscali per la sanità e quelle per la scuola che è meglio non toccare, servono “scelte politiche”.
E le scelte politiche richiedono tempo, mediazioni, analisi di fattibilità . Tanto più che anche i 5 stelle hanno da dire la loro. Fonti del Movimento, infatti, hanno fatto sapere che durante l’incontro governo e sindacati “hanno condiviso il principio della progressività della tassazione”.
Flat tax sì, ma non come la vuole la Lega. Tempo e mediazioni lo richiede anche il lavoro più generale sulla manovra.
E infatti Conte preannuncia già altri due incontri – uno il 29 luglio e l’altro il 5 agosto – sul Sud e sul lavoro. Si svolgeranno ancora a palazzo Chigi, saranno sempre presieduti dal premier. Saranno rispettivamente il secondo e il terzo incontro. Dopo il primo, quello che il premier battezza con un video su Facebook come l’inizio “ufficiale” dei lavori preparatori per la manovra. Altro che il tavolo del 15 luglio al Viminale.
Appena finisce di illustrare il cantiere della manovra in tv, Tria si precipita a palazzo Chigi per unirsi alla narrazione di Conte.
Solo quando i partecipanti sono alle battute finali compare il ministro leghista Gianmarco Centinaio. Ma i giochi sono già fatti. Il premier ha deciso che la manovra sarà fatta con Tria, rifiutando e respingendo il tentativo di sovrapposizione portato avanti da Salvini.
E i 5 stelle? Ammaccati dalla vicenda della Tav, ultimo episodio di un galleggiamento di governo che implica concessioni pesanti, i pentastellati provano a spalleggiare l’asse Conte-Tria, stando però attenti a non schiacciarsi troppo su posizioni moderate che potrebbero costare caro.
L’immagine di Di Maio sul balconcino di palazzo Chigi per festeggiare il deficit al 2,4% e la famigerata abolizione della povertà non si cancella facilmente. Di Maio lancia sul tavolo di palazzo Chigi un ambizioso Piano per la casa: ricostruire e e ristrutturare 600mila alloggi già esistenti e abbandonati per destinarli a giovani coppie, single e famiglie a basso reddito.
Prova a rilanciare il cavallo di battaglia del salario minimo e promette di tagliare il cuneo fiscale per 4 miliardi se gli imprenditori sosterranno i costi del salario minimo. Il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia gli risponde dopo pochi minuti: ”à‰ poco, è poco”.
Un guizzo stroncato prima ancora di prendere quota. Non solo dagli industriali. Massimo Garavaglia e Massimo Bitonci, rispettivamente viceministro e sottosegretario al Mef in quota Lega, stroncano il mini intervento sul cuneo fiscale dei 5 stelle e aggiungono: “Condividiamo i dubbi di chi sostiene che 4 miliardi di tagli alle tasse siano davvero pochi”.
Nella schizofrenia di un governo che sulla manovra parla con due voci c’è anche questo: rivendicazioni e passi in avanti subito bloccati.
Alla fine del vertice, Maurizio Landini fotografa la situazione: “Bisogna che si mettano d’accordo, per noi il governo è uno, la sede è la presidenza del Consiglio, devono mettersi d’accordo loro”.
Già , mettersi d’accordo. Sempre più difficile per un governo che si ricompatta solo quando una parte cede all’altra. Il tratto resta quello della distanza, come sulle Autonomie.
L’ennesimo incontro sul tema si è tenuto all’ora di pranzo a palazzo Chigi, presieduto da Conte. Intorno al tavolo il ministro 5 stelle per i Beni culturali Alberto Bonisoli e la madrina della riforma, la ministra leghista Erika Stefani. Un passo in avanti sui beni culturali, uno indietro su quelli archeologici secondo il Carroccio. La strada è ancora lunga: non sono state definite le competenze che passeranno dallo Stato alle Regioni che hanno fatto richiesto di autonomia differenziata e non c’è ancora l’accordo sullo schema finanziario, cioè se e come le Regioni potranno gestire gli eventuali risparmi. Anche su questo il governo ha le sembianze di un Giano bifronte.
(da “Huffingtonpost”)
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