E IL PD SI RICOMPATTA, I RENZIANI: “CHAPEAU”
IL SI’ DI GIOVANI TURCHI E RENZIANI
La ruota gira, direbbe Bersani. I renziani sono i più entusiasti della mossa del segretario. «Scelte ottime, personalità nuove e straordinarie. Magari durano due mesi, ma tanto di cappello».
Lo dice Luca Lotti, neodeputato, quasi un fratello del sindaco di Firenze.
La senatrice umbra Nadia Ginetti ha un sorriso largo così: «Questo è il cambiamento che vogliamo noi. Oggi si può essere orgogliosi di rappresentare il Pd».
Quando è ancora in corso il ballottaggio al Senato, Bersani già vola verso Milano, tappa intermedia prima di tornare a casa a Piacenza.
Vuole solo dormire, dopo una notte in bianco, la notte «in cui abbiamo dimostrato che cambiare si può».
Poi, l’esito del voto a Palazzo Madama lo spinge a valutare la decisione dei grillini. «C’è gente che comincia a capire che vogliamo davvero il cambiamento. Non a chiacchiere, coi fatti. Dimostreremo che siamo pronti a seguire ancora questa strada».
Nessuna concessione all’antipolitica, sia chiaro.
«Semmai, Boldrini e Grasso dimostrano che la polita sa offrire un’immagine nobile dell’Italia, che le istituzioni sono vive. È tutta salute, vedrete».
Il nodo politico del governo però sta ancora lì, grande e intricato.
Bersani cercherà di scioglierlo con la politica dei piccoli passi, ricostruendo innanzitutto il rapporto con Napolitano.
Ieri lo ha fatto con una telefonata «delicata» che ha sorpreso il presidente della Repubblica, che ha registrato qualche lungo secondo di silenzio dopo l’annuncio.
Ma alla fine la tensione si è sciolta.
Sono le otto di mattina, la decisione finale presa da Bersani, Dario Franceschini, Enrico Letta e Nichi Vendola è diventata concreta da appena mezz’ora.
Il leader del Pd chiama il Quirinale. «Abbiamo deciso per Boldrini e Grasso ».
Il capo dello Stato è spiazzato, ma non si perde d’animo. «Sono due scelte importanti. Conosco bene Grasso e lo stimo. Conosco meno la Boldrini, ma so del suo impegno». È il via libera definitivo.
A notte fonda, dopo la riunione di Scelta civica che rinuncia a candidare un montiano, solo in pochissimi conosco i presidenti in pectore. Il “cambiamento” prevede il passo indietro dei candidati di partenza, Franceschini e Finocchiaro. Il primo partecipa all’indicazione di Laura Boldrini. E gestisce la comunicazione ai parlamentari democratici con un discorso alto.
Tra i dirigenti del Pd è quello che conosce meglio Boldrini. La voleva candidata nelle liste democratiche, ma arrivò prima Vendola.
Anna Finocchiaro viene avvertita intorno alle 8 da Bersani.
Reagisce da professionista e da signora, senza nascondere l’amarezza. Per questo Bersani la invita alla Camera e all’ora di pranzo l’accompagna sottobraccio nel Transatlantico, come se fosse lei la vincitrice.
Intorno alle 4 di notte, tanti sono ancora svegli. Si sparge la voce che il Pd vira su una donna giovane e nuova a Montecitorio. Per questo alcuni pensano a Marianna Madia anche se il suo nome non è mai stato nella testa del segretario.
Per qualche ora, sembra che possa tenere la coppia rosa Boldrini-Finocchiaro. Ma qui entra in ballo il braccio di ferro, ormai scoperto, con i tifosi interni delle larghe intese, primo fra tutti D’Alema.
Escludendo la capogruppo del Senato, Bersani, raccontano i suoi fedelissimi, manda un messaggio chiaro a quella fetta del partito che pensa a «manovrette »: «C’è solo Pier Luigi in campo per il governo. Non esistono piani B».
Lo schema del piano B prevedeva infatti il rapido trasferimento da Palazzo Madama a Palazzo Chigi per la Finocchiaro in caso di fallimento del tentativo Bersani.
La senatrice finisce stritolata in questo vortice e non è la prima volta che le capita.
Il segnale arriva anche ai giovani del Pd, alle new entry, sui diffonde attraverso i social network che festeggiano i volti inattesi.
È la vittoria dei “turchi” di Stefano Fassina, Matteo Orfini e Andrea Orlando, dei deputati liberi pensatori come Andrea Martella, dei figli delle parlamentarie come Pippo Civati, dei renziani.
Ora Bersani è chiamato a tenere unito il Pd dei giovani e i “maggiorenti”, mentre gli equilibri cambiano e i nomi dei presidenti sono lì a testimoniare la rivoluzione in atto. Correnti, scettici, ambizioni.
Il Pd è anche questo, anche se da Largo del Nazareno spiegano che tutti sono «in grado di leggere il livello delle reazioni su Internet».
Quindi si daranno una regolata.
È la vittoria del nucleo emiliano: Vasco Errani, Miro Fiammenghi e Maurizio Migliavacca, sostenitori.
C’è però da allontanare il fantasma di una vittoria di corto respiro.
La posta vera è il governo, è Bersani premier. «Se si valutano bene i numeri si vedrà che lo spiraglio c’è», dice Migliavacca con la valigia in mano. «Torno a casa di corsa. Ho fatto il mio lavoro, mi pare», dice soddisfatto.
Non ci sono alternative al segretario: «Il cambiamento può guidarlo solo lui», ripetono quelli che gli sono più vicini.
Ma i sostenitori di un accordo con il Pdl aspettano un passo falso del leader.
Anche piccolo.
Il sentiero del resto rimane stretto e pieno di ostacoli.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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