E IN OSPEDALE RINASCE L’ASSE LETTA-BERSANI
IL RETROSCENA: LA VIOLENTA LITE TRA LETTA E RENZI E POI LA VISITA A PARMA
Sul tavolo della legge elettorale, adesso c’è molto altro: sono le ore più drammatiche di questa breve e disgraziata legislatura.
Lo scontro totale è tra Renzi e Letta, due dirigenti dello stesso partito, uno segretario l’altro presidente del Consiglio. Almeno per ora.
Perchè l’altra notte, nel vertice di Palazzo Chigi, il premier ha giocato il tutto per tutto: «Se vai avanti con Berlusconi e senza la maggioranza, io domenica mi dimetto».
Una minaccia non tattica, se è vero che negli incontri avuti al Quirinale, Giorgio Napolitano ha cominciato ad appuntare le opinioni di chi paventa la crisi.
Ma il punto di non ritorno sembra già superato, perlomeno nei rapporti personali.
È stato chiaro, lampante giovedì notte nella stanza del premier al primo piano di Palazzo Chigi.
I testimoni Angelino Alfano e Dario Franceschini hanno assistito quasi a bocca aperta alla rivelazione di una guerra, di un odio che si sta radicando.
Il sindaco di Firenze ha cominciato aggredendo: «Ho già in tasca un accordo con Berlusconi sul sistema spagnolo. Voi che volete fare?».
«Fattelo da solo», gli ha risposto Letta furibondo.
«Pensavo di essere io nel mirino. Ma mi sbagliavo – ha raccontato il capo del Nuovo centrodestra ai colleghi di partito – . La sfida è stata solo tra Matteo e Enrico».
Una sfida che si trasferisce dentro al Pd. Con i bersaniani sul piede di guerra: «Renzi sta facendo un regalo gigante a Berlusconi. Tira via il doppio turno e le preferenze, quello che non vuole il Cavaliere. È un suicidio», attacca Alfredo D’Attore, l’uomo più vicino all’ex segretario.
Poi, le coincidenze della politica portano faccia a faccia gli amici di sempre, gli alleati Letta e Bersani, nella stanza dell’ospedale di Parma, dove i medici hanno dato il via libera alle visite. Siccome “Pierluigi” sta molto meglio, il colloquio è durato un’ora e mezza.
Non solo auguri e scherzi, dunque.
Suicidio è una parola risuonata anche nell’intervista del segretario alle Invasioni Barbariche e nella stanza di Letta. «Ti rendi conto Matteo che se salta tutto, vai a votare con il proporzionale e non fai il governo», è stato il ragionamento dei tre governisti.
«E voi vi rendete conto che se non si fa la legge elettorale io vi sputtano davanti al Paese? Siete voi a suicidarvi non io».
I toni alti rientrano forse nella logica della fase finale. Tutti giocano all in, ovvero l’intera posta come al Texas Holdem, il poker televisivo.
Ma Alfano ha le idee chiare e non esclude affatto la rottura. «Il mio obiettivo è che questo governo duri un anno. Ma se Matteo mantiene le liste bloccate, lo sbarramento alto, è chiaro che vuole buttare giù il governo».
L’affondo contro i “partitini” ha come bersaglio soprattutto il vicepremier. «Matteo non mi può mettere nelle condizioni di tornare con Berlusconi – spiegava Alfano ai suoi colleghi – . Perchè io con Berlusconi non voglio tornare, chiaro?».
Dunque, l’Ncd, sacrificando Letta per salvare se stesso, ha la tentazione di far saltare il banco. Andrebbe a votare con una legge proporzionale, con una soglia di sbarramento minima. È l’istinto di sopravvivenza.
Del resto, un bersaniano di ferro come Miguel Gotor ammette: «La sentenza della Corte costituzionale ha creato una legge fatta su misura per Alfano. Non si capisce perchè non dovrebbe sfruttarla».
Cresce così il fronte dei proporzionalisti. Paradossalmente composto dai filo governativi che però hanno bisogno di far cadere l’esecutivo per cogliere al volo il treno di un ritorno alla Prima repubblica.
Cancellando qualsiasi ipotesi di riforma. Lupi ha provato ieri a trovare una mediazione. Lavorando con Renzi a un sistema spagnolo con soglia di sbarramento bassa. Nell’originale è intorno al 12-14 per cento, cifra irraggiungibile per Ncd, Scelta civica, Popolari di Casini, Sel.
Nel testo di compromesso verrebbe abbassata al 5 per cento alla Camera e all’8 per cento al Senato.
«Ma resta il punto chiave delle liste bloccate – ragiona Alfano – . Noi vogliamo le preferenze. Le liste bloccate fanno comodo solo a Berlusconi e a Renzi».
Il sindaco però non sembra fare dietrofront. È tornato ad attaccare i partiti piccoli in televisione, i loro veti, l’impossibilità di governare con i ricatti quotidiani. Non li vuole tra i piedi.
Tra i piedi però ora c’è un fronte ampio del Pd. «Mai vista tanta rabbia in un gruppo dirigente», è la sfida che il segretario lancia contro bersaniani e dalemiani.
Lunedì comunque si vota il modello elettorale e «in direzione non hanno i numeri, non vanno da nessuna parte». Ma la rottura nel Pd sta diventando reale.
E la scissione non è più da escludere.
Ecco la partita. Renzi non può perderla. Ormai ha un folto gruppo di nemici, gliela farebbero pagare. «Solo un miracolo può salvare la legislatura», diceva ieri un ministro. Se il sindaco fa l’accordo con Berlusconi, il governo muore. Se lo fa solo con la maggioranza, muore lui il segretario e accetta un sistema che non gli piace, il doppio turno. Se trova un modello che tiene dentro Forza Italia, la maggioranza e Sel, fa il «miracolo», il capolavoro e ne esce vincitore. La vera medaglia sarebbe costruire in tre settimane un’intesa mai raggiunta in otto anni.
«Sarebbe il segno di novità della politica, di credibilità , la vera risposta alla speranza delle primarie – spiega Renzi – . Lo so bene. Ma so anche che non voglio perdere tempo». Se si troverà contro Letta e una parte del Pd, è pronto a denunciare il loro “ostruzionismo” dappertutto, a metterli all’indice. Con la forza mediatica del suo personaggio.
È possibile che la resa dei conti sia legata allo sprint finale, al momento di massimo conflitto prima di una pace e di una mediazione.
Ma certamente sembra difficilissimo recuperare un rapporto anche di semplice convivenza tra Letta e Renzi.
Goffredo De Marchis
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