“E’ STRAZIANTE, I MALATI HANNO SOLO NOI”: IL RACCONTO DI STEFANIA, MEDICO SUL “FRONTE” DI CREMONA
“LE PRIME NOTTI DI TURNO SONO STATE DA PAURA, BISOGNA REAGIRE”… “!RESTATE A CASA”
“Sì, mi è capitato di dover comunicare ai parenti che alcuni pazienti non ce l’hanno fatta. Un giorno abbiamo ricevuto la telefonata del cognato di un uomo contagiato dal virus e ricoverato e ho dovuto riferirgli io che sua moglie, a casa, era morta, stroncata dal Covid-19. Il coronavirus virus uccide, per questo è fondamentale rispettare le regole, stare a casa. C’è poco da scherzare, è una questione di responsabilità collettiva, ci riguarda tutti”. Stefania Pini risponde al telefono poco prima di cominciare un altro turno. Dal 7 marzo lavora all’Ospedale di Cremona, in prima linea nella Lombardia martoriata dall’epidemia, sul fronte più caldo della guerra in corso nel nostro Paese per fermare l’avanzata del coronavirus.
Quarant’anni, due lauree – una in ostetricia e una in medicina – specializzanda e appassionata di bioetica, è una di quei medici, neolaureati e non ancora specializzati, selezionati attraverso il bando – accompagnato da una vera e propria richiesta di aiuto del direttore sanitario, Rosario Canino – che l’Azienda socio sanitaria territoriale (Asst) di Cremona ha lanciato per reclutare nuovi professionisti in questo periodo di emergenza. “Le prime due notti di turno sono state da paura – racconta Stefania – ma devo dire che ho trovato un gruppo, tra medici, infermieri e operatori socio sanitari, di persone molto professionali, disponibili e attente, che non mi hanno fatto sentire l’ultima arrivata. Siamo un team, lavoriamo per un obiettivo comune. E poi quando l’equipe funziona bene il paziente ne trae beneficio”.
Stefania è precaria – “ho un contratto di libero professionista con regime forfettario, guadagno in base alle timbrature”, specifica – ma ha voluto cogliere l’opportunità di esserci, di metterci la faccia e le braccia, mente e cuore, in un momento così importante per la vita del Paese. Invita i neolaureati come lei a fare lo stesso, a farsi avanti: “Servono ancora più anestesisti, ancora più pneumologi”, dice.
Lì in prima linea si impara a lavorare, ma anche a vivere. Si sta insieme gomito a gomito nove, dodici, anche quindici ore, avanti a oltranza sulla spinta dell’adrenalina.
Si impara, nelle difficoltà come queste, a collaborare, a fare squadra, a superare le eventuali divergenze caratteriali, anche a tenere a bada alzate di testa e insicurezze.
Questione di priorità e di tempo. Ce n’è troppo poco di tempo, in questa guerra contro il virus. “Che non è un’emergenza come le altre”, spiega Stefania perchè “bisogna stare molto attenti tutti. Si stima che il 10 per cento di noi operatori possa essere contagiato dal Covid-19”. Il pensiero corre subito ai familiari.
Lei voleva fare il medico – “vivo il mio lavoro come una missione, una scelta di vita e dunque sono consapevole dei rischi”, dice risoluta – non è sposata e non ha figli, ma è preoccupata per i genitori, entrambi settantenni, la sorella trentatreenne, la zia anziana, con i quali vive nella loro casa di Calvatone, in provincia di Cremona.
“Cerco di non stare a stretto contatto con loro per precauzione e comunque siamo tutti molto attenti a mantenere la distanza di sicurezza – spiega – non posso contrarre il virus anche per i malati di cui devo prendermi cura. Loro hanno solo noi, sa?”. Sono anziani e giovani – “sì, abbiamo intubato anche quarantenni – uomini e donne, alcuni, a causa di demenza o altre patologie cognitive, per applicargli la mascherina devono sedarli. “È straziante vedere quello che succede”, ripete Stefania.
Quello che succede è l’ospedale completamente riorganizzato per accogliere i contagiati dal coronavirus, i posti in rianimazione tutti occupati, l’allarme e il livello di guardia sempre alti. E i malati che continuano ad arrivare, alcuni purtroppo in condizioni disperate, “che io tratto come fossero familiari”.
Per loro, l’unico contatto con il mondo esterno sono, appunto, i medici. “Quando qualcuno viene a mancare siamo noi che lo comunichiamo ai parenti – va avanti Stefania – Un giorno abbiamo ricevuto la telefonata del cognato di un uomo contagiato dal virus e ricoverato e ho dovuto riferirgli io che sua moglie, a casa, era morta, stroncata dal Covid-19. Sono stata con lui per un’ora, per comunicarglielo nella maniera più adeguata possibile”.
La tenuta psicologica è fondamentale per vincere la battaglia contro il coronavirus. “È importante non lasciarsi andare, bisogna reagire”, sospira Stefania. E pensa anche a un’altra reazione, quella del Paese, ancora non netta come la situazione richiede.
Per strada, anche in Lombardia, ci sono ancora troppe persone. “Il coronavirus uccide, per questo è fondamentale rispettare le regole, stare a casa. C’è poco da scherzare, è una questione di responsabilità collettiva, ci riguarda tutti – dice – le indicazioni relative all’igiene e al comportamento vanno seguite, le persone che devono stare in quarantena devono rispettarla. Io penserei a sanzioni economiche pesanti, magari toccandoli nel portafoglio si convincono a comportarsi come si deve”.
Perchè rispettare le regole è “l’unico modo per ridurre il contagio e il numero dei morti. Ciascuno si assuma le proprie responsabilità , rendendosi finalmente conto che i loro comportamenti nuocciono a loro stessi e agli altri”, conclude Stefania. E va a prepararsi per un nuovo turno in ospedale.
(da “Huffingtonpost”)
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