ECCO COME SI SPARISCE AL CAIRO: IL RACCONTO DI UNA DELLE TANTE VITTIME DELLE RETATE
IL RACCONTO DI UN GIOVANE 25ENNE: “CI HANNO FATTO FIRMARE UN FOGLIO DI “CONFESSIONE” SENZA SAPERE DI COSA SI TRATTASSE… E QUATTRO DI NOI SONO SPARITI”
Stavamo chiacchierando e bevendo tè in un caffè di Downtown quando sono arrivati. Erano sei o sette, tutti in abiti civili. C’era tanta gente nel locale ma sono venuti al nostro tavolo e ci hanno chiesto i documenti, che lavoro facessimo, dove. Poi ci hanno detto di seguirli. Così, come lo racconto: “Seguiteci”.
Ci hanno scelto in modo apparentemente casuale. Credo che fossero della State Security.
Ci hanno caricato nel pulmino dei prigionieri, quello classico blu, e hanno cominciato a girare a vuoto per due ore, sembrava volessero farci perdere l’orientamento.
C’erano altri ragazzi dentro, stavamo tutti muti, zitti, sotto shock. Ci avevano preso i telefonini e non potevamo comunicare con nessuno.
La mia preoccupazione principale era come avvertire la mia famiglia e poi c’erano tutte le altre, facevo i pensieri più neri, immaginavo gli scenari peggiori.
A un certo punto pensavo solo ossessivamente a Giulio Regeni e Mostafa Masouny.
A un tratto ci siamo fermati e un ufficiale è venuto a chiederci se ci fossero giornalisti tra noi. Ce n’era uno, gli hanno domandato dove lavorasse e l’hanno fatto scendere. Poi l’ufficiale ha chiesto se ci fossero avvocati, ce n’erano tre, hanno fatto scendere anche loro e noi, che a quel punto eravamo rimasti in 20, siamo ripartiti.
Non capivo e stavo ancora peggio. Speravo che ci portassero alla stazione di polizia di Kasr el Nil perchè era vicino, era a Downtown, perchè speravo che lì gli attivisti dei diritti umani ci avrebbero trovato più facilmente.
Invece abbiamo attraversato il ponte e ci siamo diretti verso il sobborgo 6th Ottobre, fuori, lontano, dall’altra parte della città .
Ci hanno fatto scendere alla stazione di polizia vicino all’edificio della State Security e siamo rimasti li per un’ora.
Poi un uomo in abiti civili ci ha divisi in gruppi di quattro, a ognuno di noi ha messo di fronte il cellulare e i documenti e ha iniziato a chiedere: Nome? Cognome? Luogo e data di nascita? Residenza? Professione? Lavoro del padre? Hai mai partecipato a manifestazioni? Fai parte di un partito politico? La faccia era impenetrabile, da poker. Non era nè gentile nè brutale: sanno che in quel momento controllano la tua vita e hanno un tono neutro, distante.
A quel punto erano ormai le due di notte. Quando hanno finito con le domande hanno preso quattro di noi per una “indagine intensa” e li hanno portati via.
Al ritorno ci hanno raccontato che gli avevano chiesto le password di tutti i loro social network , che avevano visto foto, messaggi, contatti, che sapevano che uno di loro era andato in Turchia anche se lui non lo aveva detto.
Ci hanno lasciato di nuovo da soli, senza informazioni, niente di niente, isolati per ore. Il pomeriggio del giorno dopo è venuto un altro uomo, ci ha chiamato uno ad uno per nome e ci ha portato in una stanza per firmare un doppio foglio pieno di scritte che non potevamo leggere: l’unica cosa leggibile era in fondo alla seconda pagina, diceva “Confesso e ammetto” e poi la firma.
Ho firmato una confessione che ignoro.
Non sono mai stato un attivista, ho amici attivisti ma sono lontanissimo dalla politica, non sapevo cosa mi stesse accadendo.
Allora, solo allora ci hanno rilasciato, in mezzo al nulla. Tutti fuori ad arrangiarsi per tornare a casa.
Ci guardavamo, eravamo tutti lì tranne quattro di noi, quelli dell’”indagine intensa”, loro erano rimasti dentro e sono ancora lì, li hanno accusati di otto reati diversi tutti legati all’istigazione alla violenza, saranno processati presto.
Adesso ho solo tanta paura e vorrei andare via da qui, vorrei lasciare l’Egitto ma non so dove andare.
Francesca Paci
(da “La Stampa”)
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