ECCO IL PALINSESTO RAI, LA TV PIU’ MELANCONICA DEL MONDO
TRISTEZZA. SALUTI E APPELLI A PIER SILVIO… NON RIESCONO NEPPURE A RECITARE LA PARTE, FALSA, DELL’AZIENDA FELICE
Napoli. Il nuovo palinsesto Rai è più drammatico del film “Lezioni di piano”. La chiamano “Offerta informativa”, ma la novità più prestigiosa è una fiction su Mike Bongiorno: allegria o tristezza? Tutta l’offerta la racconta Stefano Coletta, direttore della Distribuzione Rai (che per i vertici sarebbe “il migliore”) uno che parla così: “La Rai deve essere un’ossessione d’amore”; “la Rai è un grande e infinito matrimonio longevo, bisogna renderlo non stancante”. Levategli Catullo!
Quale imprenditore sobrio investirebbe su questa televisione, una tv che piazza per il 2024-2025 sei puntate sull’industria di Mario Sechi, ex portavoce della premier, oggi a Libero, e poi Osho al programma Binario 2 e, se serve, pure al segnale orario? La presidente Rai, Marinella Soldi, spedisce un comunicato come fosse Mattarella, perché lei, qui a Napoli, non c’è. Con la colonna sonora del compositore Michael Nyman sarebbe una “Lezione di Rai”, note dall’abisso.
Non sa ancora chi sarà il suo prossimo capo, ha appena emesso un bond da trecento milioni, ma da due giorni mezza Rai soggiorna a Napoli, mangia e si interroga: “Ma tu, stasera, vieni alla festa? Cena alla Mostra d’oltremare”. Il tappeto rosso, che è però blu, viene montato tra le male parole degli operai per il troppo caldo, per arrivare all’Auditorium meglio non chiedere quanti Ncc, taxi e ricevute rimborserà la Rai. Domandiamo a un dirigente: “Ma perché scegliete sempre Napoli?” e lui: “Così gli investitori prendono il sole, vedono il mare e dimenticano la Rai”. L’ad Roberto Sergio sale sul palco e fa un bilancio dei suoi 14 mesi: “Qualche mia esternazione poteva essere più cauta”, poi rivolgendosi alle tv concorrenti, le piccine, manda una carezza, e si fa per dire: “Le cose imbarazzanti non le commento”. Per fortuna doveva essere cauto. Saluta tutti i sindacati, compreso il nuovo, di destra, Unirai, ma si dimentica dell’Usigrai (stanno già scrivendo il comunicato). I suoi collaboratori quando si gira dicono: “È arrivato Roberto Serginho do Nascimiento. Olé”. Si parla del nuovo approfondimento Rai e interviene il direttore Paolo Corsini, il destro di Meloni, uno che se spedito a Kyiv farebbe entrare nel conflitto anche la Cina. I giornalisti vogliono sapere: direttore Corsini, ma insomma, le novità? Massimo Giletti fa un talk su Rai 3, ma ha preteso che fosse seguìto dalla direzione Cultura (di sinistra) e non da Corsini, Peter Gomez farà la solita “Confessione” e di sicuro ci saranno almeno tre puntate con ospite Giuseppe Conte. C’è una paccata di programmi imbarazzanti che non vale la pena neppure sprecare righe di giornale. Non essendoci novità di valore, Corsini si ricorda che torna Giovanni Minoli e lo cita, ma poi si lancia nella polemica retrodatata: “Purtroppo l’anno scorso alcuni hanno inseguito i soldi”. Lui insegue Ranucci di “Report” e amabilmente fa sapere che non è con noi “perché è in ferie. Poi anche io ho letto l’intervista dove annunciava che non sarebbe venuto”. Non c’è Ranucci (che lamenta: “Questa Rai manca di rispetto a Report”) e neppure Pino Insegno, una volta tanto che serviva. Dovrebbero fare fuochi d’artificio e invece fanno venir voglia di prendere il fazzoletto e asciugare le lacrime, Addio Rai. Non riescono a recitare neppure la parte, falsa, dell’azienda felice. Minacciano solo querele, perché in Rai, garantiscono sia Sergio sia Corsini, “la censura non esiste”.
E a dirla tutta hanno ragione. Esiste solo il servaggio sciocco o l’inchino. Le sei puntate di Sechi chi le ha volute? Sono degli approfondimenti? Corsini, sincero: “Io non sapevo nulla. Lo apprendo adesso dai siti”. Dovrebbero essere in quota Cultura, dunque Giletti&Sechi al posto di Fruttero&Lucentini. Il guaio è che questi svippati Rai se la tirano anche. Se ci fosse stato Sergio Marchionne ad Rai li avrebbe spediti in prima fila, ma di mattina, e non a bere spumantino il pomeriggio. Offerta informativa di cosa? Alla stampa avrebbe risparmiato tre ore di viaggi onirici di Coletta, le incursioni di Angelo Mellone, Tom Mellone, il direttore day Time, vestito interamente di bianco perché lui passa dall’Abruzzo di Linea Verde al sarto di Panama di Le Carré. È nato per dirigere Rai L’Avana. Hanno la testa alle ferie anche perché la testa Rai, non c’è, e forse non ci sarà: boh. Sergio fa capire che se ne torna in radio, l’ad designato, Rossi, resta ancora “il designato”, tanto che deve dire “non mi sento sulla graticola. La Rai ha bisogno presto dei nuovi vertici”. Adesso è Forza Italia che non vuole votare il nuovo cda. Antonio Tajani teme che la sua Simona Agnes venga impallinata dalla Lega a scrutinio segreto e non venga eletta presidente, mentre il Pd, suggerisce un dirigente Rai, “è così velleitario che vuole praticare l’Aventino anziché chiedere la presidenza Rai”. Non solo mungono la Rai, ma fanno gli schizzinosi. La mungono, ma non vogliono macchie di latte. Sergio e Rossi sono costretti a lodare Pier Silvio Berlusconi di Mediaset per il “suo approccio illuminante sul canone”, il che è tutto dire. Sarebbe stato bello chiedere “ma Sechi chi lo ha voluto?”, e chiedere anche: “Che fine ha fatto la fiction di Mimmo Lucano nel cassetto?”. Purtroppo non si possono fare domande perché, dopo tre ore di Catullo-Coletta e Serginho, viene comunicato che il tempo è finito. Non è censura. È banalissimo: “Ce chiudono il teatro. Me creda. Ce chiudono”.
(da ilfoglio.it)
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