EMERGENZA PRONTO SOCCORSO TRA TAGLI AL PERSONALE E AI POSTI LETTO: 24 MILIONI DI ITALIANI OGNI ANNO VI FANNO TAPPA
IN 4 ANNI PERSONALE TAGLIATO DI 23.476 UNITA’…. I POSTI LETTO DIMINUITI SONO 71.000, ORMAI SIAMO BEN SOTTO LA MEDIA EUROPEA… IL PESO DEL TICKET PER MOLTI E’ DIVENTATO INSOSTENIBILE E VANNO AL PRONTO SOCCORSO PERCHE’ NON POSSONO PERMETTERSI ANALISI
È il luogo dell’ultimo istante, dove si salvano le vite nel giro di minuti o secondi ma può anche diventare un girone d’inferno.
Per chi aspetta, una visita o un letto, per chi ci lavora, per chi ci porta un proprio caro malato.
Il pronto soccorso vede un numero sempre più alto di pazienti, in Italia siamo ormai a 24 milioni l’anno.
Queste strutture in molti casi si trovano a tenere in piedi da sole la risposta sanitaria. Finiscono qui i casi gravi e urgenti, ma anche quelli legati al disagio sociale, oppure alle paure infondate delle persone.
E così che in periodi come quello influenzale, nella metà delle regioni italiane i reparti dell’emergenza sono loro stessi in continua emergenza.
Cosa succede? Come mai siamo arrivati a questo punto?
Come spesso avviene in sanità non c’è un’unica causa ma piuttosto una serie di fattori che insieme stanno trasformando gli ospedali italiani in maxi pronto soccorso.
La colpa la portano in molti, chi organizza la sanità , chi ci lavora ma anche, in certi casi, noi cittadini.
Meno personale e meno posti letto
Mentre i pronto soccorso sono presi d’assalto dai malati, cala il personale del Servizio sanitario nazionale (Ssn) causato dal blocco del turnover nelle Regioni che devono rientrare dai miliardi di euro di debiti accumulati negli anni.
Dal 2009 al 2013 gli occupati Ssn sono diminuiti di 23.476 unità .
Passiamo ai posti letto. Ne sono stati chiusi 71mila dal 2000 ad oggi. E altri 3mila spariranno nel 2015.
La riduzione è stata attuata anche in altri Paesi della Comunità Europea, ma non in maniera così pesante come in Italia.
La Francia registra una media di 6,37 posti letto per mille abitanti, la Germania 8,22 mentre in Italia siamo arrivati a 3,6 posti letto, ben al di sotto della media europea.
Quali sono le cause principali per cui si ricorre all’ospedale?
Continua a guidare la classifica il parto con 137mila dimissioni per parto naturale e 74mila in caso di parto cesareo senza complicanze.
Subito dopo le patologie cardiovascolari, quelle respiratorie e gli interventi chirurgici. Torniamo ai pronto soccorso che sono il terminale di tutti i problemi.
“I cittadini sono costretti a recarsi al pronto soccorso perchè mancano altre risposte vere sul territorio – dice Massimo Cozza, segretario nazionale della Cgil medici – e il peso dei ticket è diventato insostenibile per larghe fasce di popolazione e la struttura di emergenza è vista come un posto dove fare diversi esami e tutti assieme, magari senza spendere nulla”.
L’affollamento provoca lunghe attese e la conseguente rabbia dei parenti del malato in barella.
A pagare sono anche i medici, gli infermieri e gli ausiliari che devono affrontare l’emergenza.
Così spesso i turni vengono raddoppiati da 7 a 14 ore perchè manca il personale e tutto viene risolto con gli straordinari.
L’affollamento e il taglio dei posti letto creano un ulteriore problema: spesso le barelle delle ambulanze vengono utilizzate per “ricoverare” i pazienti che non trovano posto nei reparti.
E il mezzo di trasporto d’emergenza rimane fermo fino a quando la barella non viene restituita.
Si calcola che nel Lazio durante lo scorso anno il “fermo” delle ambulanze ha toccato le 130mila ore.
Costretti a trattare 6 milioni di ingressi inutili
I dati sono chiari, almeno un quarto delle persone che si presenta al pronto soccorso ha problemi da poco, che potrebbero essere risolti altrove.
Quando si va alla ricerca dei motivi in base ai quali le stanze dell’emergenza degli ospedali italiani sono sempre strapiene si può criticare l’organizzazione del sistema, la mancanza di mezzi e lo scarso aiuto fornito da alcune categorie dei medici, ma non si può ignorare il ruolo dei cittadini.
In un’epoca di consumismo anche sanitario non va sottovalutata la crescita della domanda di risposte rapide da parte di chi ritiene di essere malato e in realtà non lo è, almeno non gravemente.
E, al di là delle attese che possono arrivare ad alcune ore, va riconosciuto che quando si esce dal pronto soccorso si ha in mano una diagnosi, magari basata su esami strumentali che altrimenti richiederebbero settimane o mesi di lista di attesa per essere prenotati.
E così in molti vanno nei dipartimenti di emergenza magari qualche giorno dopo essersi fatti male, o comunque per cose che potrebbero essere risolte dai medici di famiglia o da una visita con lo specialista.
Quanti sono gli accessi inappropriati ai pronto soccorso? Non è facile dirlo.
Sappiamo che sono circa 24 milioni le presentazioni a queste strutture in un anno (dato che tiene conto anche del fatto che qualcuno in 12 mesi può andarci più volte). Ebbene, secondo le stime della Simeu, la Società italiana di medicina di emergenza e urgenza, i “codici bianchi” sono circa il 15%.
A questi, i problemi più banali, va aggiunto il dato dei cosiddetti “codici verdi”.
In totale sono il 66% ma va riconosciuto che tra questi ci sono varie situazioni che non mettono il paziente in pericolo di vita, ma comunque meritano di essere viste nel pronto soccorso, ad esempio una colica renale.
Anche prendendo solo una piccola frazione di questo magma di codici verdi, il 10%, e sommandola al 15 dei codici bianchi si otterrebbe un accesso su quattro ai pronto soccorso non appropriato.
Si tratta di circa 6 milioni di ingressi inutili.
È come se queste strutture viaggiassero su un doppio binario e l’esempio di quello che accade lo dà bene quanto successo quest’inverno con l’influenza.
Da una parte ci sono gli anziani con varie malattie, abbattuti ulteriormente dal virus e per i quali magari c’è difficoltà di trovare letti nei reparti, affollati o comunque non attrezzati adeguatamente.
Dall’altra ci sono quelli che con un semplice mal di gola, oppure con la febbre a 39 dovuta all’influenza corrono spaventati a farsi vedere.
Certo, i pronto soccorso più moderni, quelli degli ospedali più grandi (cioè quelli dove si assistono circa 100mila pazienti all’anno), sono ormai organizzati piuttosto bene per dare percorsi diversi ai pazienti più seri e a quelli da codici poco gravi, ma in molte strutture questo continuo presentarsi di persone che non stanno male crea problemi e disagi agli operatori.
Michele Bocci e Mario Reggio
(da “La Repubblica”)
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