ENRICO MICHETTI, IL CANDIDATO CON LA BIGA IN SECONDA FILA
A ROMA CENTRODESTRA DISPERATO, L’ASPIRANTE SINDACO NON NE AZZECCA UNA
“Ma se ne è andato un’altra volta?”, chiede incredulo Roberto Gualtieri, quando si rende conto che il tempo di permanenza in sala del suo avversario è durato non più di tredici minuti.
Tanti ne sono passati qualche giorno fa tra l’arrivo di Enrico Michetti alla sede all’Auditorium della Cisl, l’ascolto di qualche domanda su rifiuti e trasporti rivolte agli altri candidati e il gesto di alzarsi e andarsene.
Chissà come è, mormorano i maligni, sempre alle domande su rifiuti e traporti, come quegli studenti che, durante le interrogazioni, hanno un malore sulla domanda che non sanno. Ci risiamo: “Ma davvero l’ha rifatto?”. Era già accaduto questa estate al primo confronto. Ricordate? Prima la filippica su Giulio Cesare, Ottaviano Augusto, la superiorità degli acquedotti rispetto alle Piramidi, poi, arrivati all’attualità, si alza dalla sedia e se ne va: “Non partecipo alle risse”. La battuta di Calenda è rimasta negli annali: “Aveva la biga in seconda fila”.
Per correre ai ripari, gli mandarono qualcuno bravo sulla comunicazione. E invece, a distanza di pochi giorni, l’ha rifatta grossa.
Dovevate vedere la faccia della Meloni, domenica scorsa ad Ostia. Eccola, arriva per il bagno di folla, da quelle parti non è banale, perché Giorgia ha capito che se lo deve caricare sulle spalle Michetti, che magari è pure simpatico, ma non ne azzecca una: “Ma ‘ndo sta’?”. Ridda di voci: “Erano attesi entrambi, c’è solo lei”. Si precipitano a precisare, per evitare il caso: “Tutto normale, nessuno sgarbo, solo questione di agende che non collimano”. Quella di Michetti, in quel momento prevede qualche stretta di mano a Prati. Ma finisce per essere una notizia pure questa. Da che mondo è mondo, il candidato smonta e rimonta l’agenda per farsi un giro coi leader che lo sostengono.
È proprio un personaggio questo “Michetti chi”, una campagna elettorale da candidato che dà buca agli eventi, auto-trasformatosi in un Tafazzi impenitente, impermeabile anche ai consigli di chi lo vuole salvare da se stesso.
Gli hanno consigliato, chiedete a quelli attorno alla Meloni, di studiare, tenere un profilo alto sui programmi. Si sono sentiti rispondere, con una certa sicumera: “Tranquilli, la gente me ama in periferia, me abbracciano, capiscono che so’ uno di loro”.
Effettivamente, la risposta data sui vaccini è perfetta, in quanto a profilo basso: “Non sono un tecnico, non posso occuparmi di un farmaco di cui non conosco la composizione per cui non posso invitare qualcuno alla somministrazione”. Allo stesso modo ha deciso di non occuparsi di termovalorizzatori (prima contrario, poi favorevole), Pnrr, trasporti, ad eccezione della proposta dei “bigliettai” che scassa le già disastrose casse dell’Atac.
È chiaro: i sondaggi registrano un certo disincanto. Al ballottaggio perde con Gualtieri, straperde con Calenda, perché lo mollerebbe un bel po’ di elettorato di destra. L’andazzo si è già capito dalle liste.
La capolista della civica di Gualtieri è Monica Lucarelli, rampolla di una famiglia di imprenditori romani, una che, ai tempi di Marino, si metteva le mani nei capelli. Più o meno stessa reazione quando sente il tribuno di Radio Radio.
E non parliamo di Calenda, che lo voteranno pure parecchi parlamentari di Forza Italia. E anche un bel giro della destra che conta. C’era non da crederci a vedere quanta gente c’era, lo scorso 13 luglio, al cocktail di fundrasing organizzato a due passi dal Quirinale, al Casino Pallavicini Rospigliosi, dove una volta si organizzavano ricevimenti per Gianfranco Fini. Previste duecento persone, se ne sono presentate il doppio, alla ricerca di uno “con cui si riesce a parlare”.
Insomma, ci siamo capiti. Del resto non serve neanche chissà quale retroscena. Si vede tutto benissimo. E si sente ancora meglio.
Come la dichiarazione di Matteo Salvini all’Aria che tira che, a domanda su Michetti, ha risposto così, proprio così: “Io non do giudizi sulle persone. Penso ci sia tanta voglia di cambiamento”. No, non era distratto. In un’intervista sulla Stampa, medesima assenza di calore: “A Roma come finisce? Sono molto curioso di capirlo, credo che vincerà Michetti”.
Beh, è il ribaltamento della regola aurea delle campagne elettorale, di cui Berlusconi è stato uno straordinario interprete. E cioè che il candidato, anche se è il più fiacco del mondo, si “vende” come il più bravo del mondo. E si fa finta di credere alla vittoria anche quando la sconfitta è certa.
A pensar male, ci si prende: Salvini non si straccerà tanto le vesti se, nell’ambito di una tornata non entusiasmante per lui, potrà dire che se il cavallo ha perso, la colpa è di Caligola, cioè di Giorgia, che lo ha imposto a tutti.
Anzi, lo smaliziato cronista, fiutata l’aria, suggerisce, sin da oggi, di dare un occhio ai numeri, se Michetti cioè prenderà quanto le liste o qualche voto di meno, perché i segnali di “voto disgiunto”, disseminati qua e là ci sono tutti.
Parecchi candidati chiedono il voto per sé, poi sul sindaco “fate un po’ come vi pare”. E, in fondo, fanno un po’ tutti come gli pare. Manifesti dei leader senza candidati sindaci, degli aspiranti sindaci senza leader, dei candidati con quel vizietto del braccio alzato difesi dai leader perché, dice la Meloni, “non vado a guardare i tatuaggi”, ma su cui Michetti non ha detto una parola.
In fondo che vuoi che sia un tatuaggio con una scritta nazista, il tedesco non lo conosce nessuno.
(da Huffingtonpost)
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