ESISTE UN POPOLO DEL GEN. VANNACCI? C’E’ SPAZIO A DESTRA DELLA MELONI?
LE ANALISI DI ALESSANDRO CAMPI, ANTONIO NOTO E MASSIMILIANO PANARARI
Nessun nemico a destra. L’antica massima della sinistra francese (‘pas d’ennemis à gauche’) vale anche per la destra italiana? Pare proprio di no, almeno a sentire politologi e sondaggisti.
Per il partito di Giorgia Meloni potrebbe valere anzi ‘tanti nemici, tanto onore’ (vale anche se i nemici sono post-fascisti) perché lei dimostrerebbe di essere ormai un’altra cosa rispetto al passato.
Se non fosse che a quei voti guarda con sempre maggiore interesse Matteo Salvini, il quale ‘flirta’ con Alemanno e ‘chiama’ Vannacci.
Che si affacci una competition a destra è l’ipotesi rilanciata da molti dopo il caso Vannacci. Il libro del generale (‘Il mondo al contrario’) è in sintesi un manifesto di una nuova destra ? Quella destra che non ha rinnegato il sovranismo in nome dell’atlantismo e dell’europeismo? Mentre in Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli e Galeazzo Bignami cercano di tamponare gli effetti sull’elettorato di FdI della scelta fatta da Guido Crosetto, Forza Nuova si offre di candidare il generale, Gianni Alemanno lo corteggia e annuncia di voler dar vita a un partito, Salvini lo difende apertamente.
Ma quanto valgono e a chi andranno i voti della destra-destra?
Alessandro Campi, ordinario di Scienza politica all’Università di Perugia, non crede che ci sarà un’exploit.
In primo luogo – spiega- per ragioni per così dire tecniche. Alle Europee per essere competitivo devi avere capacità organizzative all’altezza di circoscrizioni enormi: nord-est, nord-ovest, centro, sud, isole. Non a caso alle europee più recenti, quelle del 2019, Forza Nuova prese lo 0,2%. Casapound lo 0,3.
Ma a parte questo, è sul piano politico che la destra-destra rischia un buco nell’acqua. “Se si vuol criticare Meloni perché ha abbracciato l’atlantismo e l’europeismo e sulla base di questa critica raccogliere consensi, allora conviene ricordare che la destra italiana ha già ampiamente metabolizzato quelle scelte”, dice Campi che ricorda come il dibattito nel Msi risalga agli anni ‘50 e si risolse a favore della scelta atlantista sulla base di un forte argomento ideologico: l’anticomunismo. “Anche An sancì che quella direzione di marcia non era reversibile. E’ molto probabile dunque che un nuovo partito alla destra di Meloni che faccia leva su anti-atlantismo, magari condito da simpatie putiniste, sia destinato a una rappresentanza marginale”. Meloni, insomma, terrà.
Non ne è cosi’ convinto Gianni Alemanno, che a Orvieto ha presentato il Forum dell’indipendenza italiana, federazione di 38 sigle appartenenti “all’area del dissenso”. L’ex sindaco di Roma ipotizza che il 10 per cento degli italiani possano votare la sua futura creatura. Sul piano teorico è indiscutibile. Ma sul piano pratico è tutto da vedere.
“Nel continuum delle scelte politiche, tra il 7 e il 10 per cento degli italiani sceglie la destra identitaria”, spiega Antonio Noto, presidente dell’omonimo Istituto demoscopico. Ma un conto è il posizionamento, un altro conto è l’offerta politica.
Per dirla con un esempio: se ti piace la mozzarella, ma ti mettono nel piatto una mozzarella amara, non la mangerai.
“E’ quel che accade ad esempio con il centro. Se chiedi agli italiani se si definiscano di sinistra, di centro o di destra, il 15 per cento si definisce di centro. Poi però – dice Noto – alle elezioni il centro non arriva a doppia cifra. Il posizionamento politico è essenziale, ma poi è importante il prodotto”.
Dal punto di vista dell’offerta politica, Fratelli d’Italia e i partiti alla sua destra sono solo parzialmente in competizione. “Nel 27-30 per cento della stima elettorale di Fratelli d’Italia – ricorda Noto – il 7-10 per cento è un elettorato identitario, che formula le sue scelte in base alle posizioni espresse su temi come l’immigrazione, i diritti delle minoranze, le politiche di genere… Il restante 20-23 per cento è invece un elettorato d’opinione, fluido, che si orienta in primo luogo sulla base delle scelte di tipo economico. E’ un elettorato d’interesse, che vota dopo aver valutato cosa pensano i partiti su temi come l’occupazione, i salari, il risparmio. Il primo è un elettorato identitario, il secondo d’interesse. Negli ultimi 20 anni, è stato questo secondo tipo di elettorato a decidere chi vinceva nelle urne. E’ successo coi M5s e poi con la Lega, che poi hanno perso quegli elettori. Ora Fdi ha l’occasione di stabilizzare il voto a suo favore”.
La sfida per la premier è far andare d’accordo le due anime. Ma soprattutto non perdere l’elettorato d’opinione, d’interesse.
“Il 55 per cento degli italiani non si dichiara nè di centro, né di sinistra, nè di destra. Valutano in base agli obiettivi, non in base alle nostalgie. Paradossalmente, la formazione di un’area politica autonoma a destra di Fdi, una formazione che abbia una certa consistenza, sarebbe per Meloni la consacrazione che il suo è ormai un partito di governo e non l’erede della tradizione postfascista”.
Questo però accadrebbe se la destra-destra si proponesse come formazione autonoma. Nel caso in cui scegliesse di appoggiarsi a uno degli attori già in campo, chi potrebbe avvantaggiarsi di questa dinamica è certamente Matteo Salvini.
Il leader della Lega da tempo intesse rapporti con associazioni e movimenti ‘a destra’. Per dire, alla convention di Alemanno, Salvini ha inviato come osservatori l’eurodeputato Antonio Rinaldi e l’ex senatore Massimo Pillon. Il leghista ha difeso Vannacci, gli ha telefonato, secondo molti potrebbe addirittura candidarlo a Bruxelles.
“Molto probabilmente il leader della Lega vede delle finestre di opportunità nello spostamento di Meloni su responsabilità di governo”, dice Massimiliano Panarari, ordinario di sociologia della comunicazione all’Università Mercatorum di Roma. “Meloni ha iscritto la sua azione in una cornice atlantista ed europeista che è obbligata ma che è molto diversa dall’offerta politica di Fratelli d’Italia, ai tempi in cui era un partito di opposizione. Si è creato un vuoto politico, e Alemanno con il suo partito intende riempirlo”, spiega il sociologo. In questa direzione, la nuova destra di Alemanno sarebbe l’ideale fiancheggiatrice della Lega. “Salvini ha iniziato il progetto di Lega nazional populista. Poi lo ha interrotto. Ora che Meloni ha lasciato scoperta quell’area politica potrebbe tornare a occuparlo”, aggiunge Panarari.
Ad esempio con un’alleanza elettorale alle prossime europee. E questo spiegherebbe l’insistenza di Salvini nell’alleanza con Marine Le Pen e Afd. Potrebbe ad esempio ospitare Alemanno nelle liste della Lega, oppure fare un’operazione come quella che Calenda fece con il Pd nel 2019, quando diede vita alla lista Pd-Noi europei. Per la Lega più Alemanno la lista che nome avrebbe, Lega – Noi antieuropei? Per Meloni sarebbe comunque un problema.
(da Huffingtonpost)
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