EUTANASIA E SUICIDIO ASSISTITO: PERCHE’ SERVE UNA LEGGE
COME FUNZIONA IN EUROPA
La Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sull’eutanasia, ma il problema resta. Se una persona volesse porre fine alla propria vita perché colpita da malattia terminale con dolori atroci e nessuna cura disponibile, cosa le consente di fare la legge?
In Italia dal 2017 è legale la sospensione delle cure (eutanasia passiva), che permette al malato di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, alimentazione e idratazione comprese.
Tuttavia se il paziente fosse ridotto irreversibilmente allo stato vegetativo, dovrebbe aver già espresso le sue volontà attraverso un biotestamento. Significa che avrebbe dovuto pensarci prima.
Sono almeno 15 anni che il tema del fine vita spacca l’opinione pubblica e le forze politiche. Le divisioni sono riemerse lo scorso 9 febbraio quando il disegno di legge sul suicidio assistito è tornato alla Camera dopo un esame di due anni nelle Commissioni Giustizia e Affari sociali, e sono destinate a riaccendersi con la decisione della Corte Costituzionale che ha dichiarato inammissibile il referendum sull’eutanasia attiva promosso dall’Associazione Luca Coscioni.
LE TRE STRADE DEL FINE VITA
Ovunque nel mondo sia stata definita una legge chiara sul fine vita, le condizioni del paziente per usufruirne sono queste: invalidità irreversibile o malattia terminale, dolori insopportabili, nessuna cura disponibile e sempre il consenso del malato. Oltre all’eutanasia passiva che è legale o tollerata in quasi tutti i Paesi europei, ci sono altre due strade: l’eutanasia attiva e il suicidio assistito. La prima è praticata da un medico, di solito attraverso iniezione endovenosa. Secondo l’attuale legislazione italiana questa modalità è assimilabile all’omicidio volontario. Nel suicidio assistito è invece il malato, con l’assistenza del medico, a compiere autonomamente l’ultimo atto che porta alla morte.
DOVE SONO LEGALI EUTANASIA ATTIVA E SUICIDIO ASSISTITO
In Europa sono legali in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Spagna. Il primo Paese a muoversi è stato l’Olanda dove entrambe le vie, tollerate fin dal 1985, sono state legalizzate completamente nel 2002. Possono ricorrervi anche i minori, ma sotto i 16 anni c’è bisogno del consenso dei genitori. In 18 anni i casi di eutanasia e suicidio assistito sono stati 75.360. Anche il Belgio ha legalizzato le due pratiche nel 2002. Dal 2014 l’eutanasia è stata estesa a bambini e minori. In 18 anni vi hanno fatto ricorso 24.520 malati.
La Spagna ha reso legale l’eutanasia dallo scorso giugno. Prima del varo della legge, aiutare qualcuno a morire in Spagna era potenzialmente punibile con una pena detentiva fino a 10 anni.
Al di fuori dei confini europei, eutanasia e suicidio assistito sono legali in Canada, Colombia, Nuova Zelanda e in alcuni stati australiani (Queensland, Tasmania, Victoria, South Australia e Western Australia). In Svizzera, Austria, Germania e in undici stati Usa (California, Colorado, Hawaii, Montana, Maine, New Jersey, Nuovo Messico, Oregon, Washington, Vermont e District of Columbia) è consentito il solo suicidio assistito. In Germania, dove resiste la memoria delle 300 mila vittime con disabilità mentali e fisiche dei medici nazisti, non è stata ancora formulata una legge, ma la Corte Costituzionale federale ha stabilito nel febbraio 2020 la legittimità della pratica in determinate circostanze.
IL CASO SVIZZERA
La Svizzera ha legalizzato il suicidio assistito nel l 1942 e la legge tollera la pratica quando i pazienti agiscono in autonomia, e chi li aiuta non ha alcun interesse nella loro morte. I suicidi assistiti rappresentano circa l’1,5% dei 67 mila decessi registrati in media ogni anno. A differenza di ciò che accade altrove, le cliniche della Confederazione elvetica offrono il servizio anche ai cittadini stranieri.
La più grande organizzazione per il suicidio assistito in Svizzera si chiama Exit, è stata fondata nel 1982 e aiuta soltanto i residenti nel Paese: oltre mille persone ogni anno ricevono assistenza e quasi tutte (98% nel 2019) scelgono di morire a casa propria o nella casa di cura in cui vivono. Nel 2020 circa 1.282 malati gravi hanno utilizzato i servizi dell’organizzazione, 68 in più rispetto al 2019. L’età media era di 78,7 anni, il 59% era composto da donne. Dignitas, la seconda più grande organizzazione per il suicidio assistito, accetta anche stranieri non residenti (costo medio 10 mila euro). Come Exit, offre i propri servizi solo a persone con malattie gravi, che soffrono dolori «insopportabili» oppure che hanno una menomazione insostenibile. Dal 1998 al 2020 Dignitas ha portato a termine 3.248 suicidi assistiti. La maggior parte erano tedeschi (1.406), britannici (475), francesi (405), svizzeri (200) e italiani (159). Nel 2020 i suicidi assistiti sono stati 221, e 14 malati erano italiani.
IL SUICIDIO ASSISTITO IN ITALIA
Negli ultimi sei anni gli italiani che hanno contattato l’Associazione Luca Coscioni per avere informazioni sul fine vita sono stati in totale 1.725. L’attuale legge sul suicidio assistito in discussione alla Camera è appoggiata da Pd, Leu, Italia viva e Cinque Stelle: composta di 8 articoli, nasce da una proposta di iniziativa popolare depositata nel 2013 e più volte riformulata accogliendo anche modifiche suggerite da partiti di destra. Il disegno di legge però continua a dividere il Parlamento e trova l’opposizione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia.
Prevede la possibilità per il malato di autosomministrarsi la sostanza letale fornita da un medico che non è punibile. Il testo include anche l’obiezione di coscienza dei medici e un precedente percorso di cure palliative da parte del paziente per alleviare le sofferenze.
La proposta di legge è arrivata per la prima volta in Parlamento a dicembre, tre anni dopo l’invito della Corte Costituzionale a legiferare sul tema e due anni dopo la sentenza 242 con la quale la Consulta ha riconosciuto il diritto al suicidio medicalmente assistito per persone capaci di intendere e volere, affette da malattie irreversibili che procurano sofferenze insopportabili, tenute in vita da trattamenti di sostegno vitale. Finora nulla però è riuscito finora a sbloccare l’azione parlamentare, e c’è già chi teme che il disegno di legge dopo tanto impegno possa essere affondato come il decreto Zan.
IL REFERENDUM
Ad accelerare i tempi per una legge sul tema poteva essere ancora l’intervento della Corte Costituzionale che però martedì 15 febbraio ha ritenuto inammissibile il referendum per l’abrogazione parziale dell’art. 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) e dunque per l’eutanasia attiva. La Consulta ha bocciato il quesito perché «non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili». La raccolta firme a favore del referendum era stata sottoscritta da oltre 1,2 milioni di cittadini. Analizzando i dati sulle firme digitali pubblicati dall’Associazione Coscioni si scopre che ad approvare il referendum erano stati 221 mila donne e 171 mila uomini e i più attivi risultavano i giovani con età tra i 21 e i 30 anni (154.360 firme). Decisamente inferiori le firme dei più anziani, probabilmente anche per una minore propensione all’uso del digitale.
I promotori del referendum sostenevano che la depenalizzazione dell’eutanasia attiva avrebbe permesso di non creare discriminazioni tra malati e di accompagnare verso il fine vita anche quelle persone sofferenti che non possono ricorrere ad aiuti esterni. I critici invece temevano che l’approvazione di una legge sull’eutanasia avrebbe legittimato in tutto e per tutto l’omicidio del consenziente, creando le condizioni per «liberarsi del malato» violando il principio della sacralità della vita.
Dopo la bocciatura della Corte Costituzionale, appare sempre più necessaria una legge che delimiti con chiarezza confini e responsabilità, affinché non si ripetano situazioni come quella di Mario, il 43enne tetraplegico che, pur avendo ottenuto il permesso di ricorrere al suicidio assistito, è rimasto ostaggio di ricorsi e ordinanze contrapposte in attesa che una commissione medica individuasse il farmaco da utilizzare. Un calvario durato 18 mesi.
(da Il Corriere della Sera)
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