FEDELI ALLA LINEA PER FORZA: GLI ELETTI GRILLINI PIEGANO LA TESTA
LE INIZIATIVE DEI PARLAMENTARI SI INFRANGONO SUL MURO GRILLO-CASALEGGIO
Un po’ rock star, un po’ esercito della salvezza autoproclamatasi ciambella di salvataggio per un Paese che rischia la deriva – i deputati del MoVimento 5 Stelle arrivano all’hotel Parco dei Pini, una casa per ferie dei padri Maristi nella zona sud di Roma, all’ora di pranzo.
Riunione plenaria.
Sul vialetto un militante ha appeso uno striscione con tre scimmiette con occhi, orecchie e bocca ben aperti. «Vedo, sento, parlo».
Questi siamo noi. Fiato sul collo.
Un gigantesco faro acceso sui comportamenti collettivi. Un’idea più facile da applicare che da sopportare.
I cittadini del cambiamento si presentano alla spicciolata. Qualcuno in auto. Molti su un pullman che si ferma di fronte alla porta a vetri.
«Incontro operativo», spiega subito il portavoce Vito Crimi.
Non c’è la calca di domenica scorsa ad attenderli. Nessuna scena d’isteria. Quasi tutto sotto controllo.
Una signora in ciabatte e vestaglia grida: «Beppeeeeeee trovami un lavoro».
Il papa ligure non c’è. Lei urla lo stesso. È l’unica.
Anche i marziani lentamente diventeranno normali. Ma non è ancora il giorno.
Il senso di diversità resta evidente. Molti sono silenziosi. Sfuggenti. Diffidenti. Selva di telecamere. Il solito giochino di «io riprendo te, tu riprendi me».
Anche i messaggi di Crimi sono zigzaganti.
Il portavoce al Senato dei Cinque Stelle ha un viso largo, l’aspetto di un uomo amichevole e pacioso. Un gattone. Che evita di farsi mettere all’angolo.
«Siamo qui per capire quali incarichi attribuire a ciascuno». Niente dibattito sulle alleanze, giura. «Chi ci ha scelto sa che non ne faremo». Bye bye Pd.
Precisa. «Un governo c’è. Comunque ci sarà . È il Parlamento che deve tornare al centro dopo vent’anni in cui è stato succube dell’esecutivo. Rileggiamo bene la Costituzione».
Ribadirà il concetto in serata. «L’unica ipotesi che contempliamo è un governo 5 Stelle». Soli.
Lontani dalle contaminazioni con un universo radioattivo.
Sono le parole d’ordine di questi giorni complessi. Comunicati che lasciano poco spazio alle interpretazioni.
Del resto le opinioni del papa ligure e del suo guru Roberto Casaleggio difficilmente sono oggetto di dibattito.
E Casaleggio ha chiarito che, se il MoVimento scegliesse la strada della fiducia a chiunque, lui si farebbe da parte. «O come dico io o niente».
Basta per tenere compatto il gruppo? Forse.
Il cittadino Ivan Catalano, un passo teso, un po’ incerto, che lo inclina in avanti come se cercasse di camminare controvento, involontariamente rompe la consegna all’allineamento.
Si distrae. Aggiustandosi gli occhiali dice quello che tanti sospettano.
«L’ipotesi di un referendum per valutare un accordo col Pd tiene il MoVimento in fermento da giorni. Non ci sono vincoli».
Se Casaleggio sentisse gli si creperebbe il cuore.
O forse si creperebbe quello di Catalano. Una piccola bomba dialettica. Uno vale uno. Ovvero – fino alla sintesi imposta dalla democrazia orizzontale – non vale niente.
Solo il tandem Crimi-Lombardi interpreta la linea.
«Il cittadino Catalano esprime una sua opinione personale e non voleva dire quello che avete capito». Non voleva.
Ma quanti sono i Catalano tra i 163 neoeletti? Non è facile tenere i ranghi compatti. Serve una mano dall’alto per seppellire il dissenso
Come con la storia della marcia dal Colosseo al Parlamento nel giorno dell’insediamento, il 15 marzo.
Un progetto svelato sabato dal cittadino Stefano Vignaroli, che adesso prende le distanze da se stesso. «Io non ho mai organizzato nulla».
Le parole «marcia» e «Roma» infilate nella stessa frase hanno un suono brusco, scuro, tecnicamente nero.
E i sospetti di malinconie da Ventennio sono già troppi per alimentarne altri, in un popolo in cui l’anima progressista-ambientalista-ecologista-collettivista è per giunta maggioritaria.
Così, scendendo dalla macchina, il romano Alessandro Di Battista, uno dei duri e puri, mastica le parole: «Ma quale marcia dal Colosseo? ».
E la sua è cortesia mista a una mal celata insofferenza. Più per i colleghi che per i media.
La pressione dovrebbe costringere tutti a imparare nuove astuzie, perchè di solo web e orgoglio in politica non si campa. Lui l’ha capito. Altri no.
La marcia diventa prima «passeggiata» poi abortisce definitivamente, rottamata come un’idea stramba
Nel pomeriggio, piuttosto, si parla di soldi.
Alle 20, in conferenza stampa, i due capigruppo tirano le somme.
Dicono no a tutto. Alleanze, accordi su presidenze, condivisione di incarichi. Buio anche sul nome individuato per il Quirinale e per Palazzo Chigi. «Vedremo».
Beppe Grillo premier? «Ci mandi un curriculum e lo valuteremo», scherza la Lombardi.
Mercoledì nuova riunione. Il cittadino Catalano va via di corsa. Ha un treno che lo aspetta.
Ivan, il referendum? Lui tace.
Si limita a sorridere rimanendo in allerta, come se una sensazione di pericolo scavasse sotto il suo improvviso torpore.
Andrea Malaguti
(da “La Stampa“)
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