FINI, UN GIORNO DA LEONE
HA PARLATO DA UOMO DI DESTRA, LANCIANDO LA SFIDA ALLA BORGHESIA DEL NORD: DESTRA NON VUOL DIRE DIFENDERE SOLO IL PROPRIO PORTAFOGLIO….HA PARLATO COME UN CAPO FORTE E CORAGGIOSO CHE NON DEVE RISPONDERE A NESSUNO, RESTITUENDO A MOLTI L’ORGOGLIO DI ESSERE DI DESTRA
Ieri Fini ha avuto il suo giorno da leone.
Non che prima abbia vissuto anni da pecora, ovvio: ma ieri è stato leader vero, amato e acclamato come non mai.
Ancor più di quando a Roma il suo Msi diventò il primo partito e sui colli si risentì cantare, dopo quarant’anni, «sole che sorgi libero e giocondo»; e ancor più persino di quel giorno recente in cui osò alzare il dito in faccia a Berlusconi: «Che fai, mi cacci?».
Un’ombra – quella del raccomandato, o quella del numero due, o perfino quella del traditore e opportunista – aveva sempre un po’ sporcato il rapporto tra Fini e il suo popolo.
Leader del Fronte della Gioventù, ad esempio, il ventenne Gianfranco lo era diventato non per volontà degli iscritti, ma per imposizione del suo padrino politico Giorgio Almirante.
Alle elezioni per il nuovo segretario del Fronte stravinse infatti Marco Tarchi, che portava finalmente libri e pensiero in un mondo di muscoli e teste rasate. Fini arrivò quinto, ma Almirante decise che il capo del Fronte l’avrebbe scelto il segretario del Msi, cioè lui, tra uno dei cinque più votati. I giovani camerati non hanno mai perdonato a Fini quella spintarella: lo chiamavano «dietro gli occhiali niente» e gli preferivano Rauti, che era vecchio ma volava più alto, parlava di Evola, di Brasillach, di Drieu La Rochelle, di Cèline.
Proprio Rauti, all’inizio degli Anni Novanta, strappò poi a Fini la segreteria del Msi, che al giovane «raccomandato» era stata lasciata in eredità da Almirante. Fini se la riprese poco dopo.
Ma il suo destino pareva quello del liquidatore di un partito destinato all’estinzione.
Poi, nel 1993, l’imprevedibile svolta: Fini si candidò sindaco della capitale e sfiorò l’elezione.
Ma anche qui un’ombra, quella di Berlusconi, il Cavaliere nero che aveva fatto endorsement («Se fossi cittadino romano voterei per Fini») manifestando una potenza devastante perchè con una battuta era riuscito a sdoganare un mondo che da quarant’anni stava chiuso in un ghetto.
Certo: poi Fini è diventato vicepresidente del Consiglio, ministro degli Esteri e tante altre belle cose ancora.
Ma sempre sotto l’ombrello di Berlusconi, il vero, indiscusso leader.
Di Fini si diceva che parlava bene, anche se non quanto Almirante; e qualcuno ironizzava sul suo look da impiegato di banca o rappresentante.
Anche quando ha sciolto il Msi e fondato Alleanza Nazionale, Fini non ha avuto tutto il consenso del suo popolo: in quanti gli hanno dato del rinnegato, dell’apostata.
Ma ieri no.
Anche se la grisaglia era sempre quella dell’uomo Facis, Fini ha parlato come un capo forte e coraggioso, e come un capo che non ha nessuno cui rendere conto. E’ vero: il suo è stato, più che un proporre, un opporre, nel senso che è stato soprattutto un parlare «contro» Berlusconi.
Ma il leader di Futuro e Libertà – e qui sta forse il dato più significativo di ieri – ha parlato come un uomo di destra, non come un convertito al «politically correct» quale lo dipingono i giornali vicini al Cavaliere.
Ha voluto dire che la destra può essere anche qualcosa di altro rispetto a quella incarnata dal berlusconismo e dalla Lega, lanciando così una sfida alla borghesia, soprattutto a quella del Nord.
E’ come se avesse detto: vediamo se possiamo dimostrare che non è vero che essere di destra vuol dire soltanto difendere il proprio portafogli dai comunisti, dalle tasse, dagli immigrati.
Vediamo se c’è davvero in Italia una borghesia conservatrice e liberale che sa guardare avanti e all’interesse collettivo.
Fini ha così restituito a molti dei suoi l’orgoglio di essere di destra.
Mirko Tremaglia ha detto dal palco che grazie a Fini è tornato giovane: e la giovinezza di Tremaglia è Salò, non la sinistra.
Può darsi che tra qualche mese della giornata di ieri resterà solo un pallido ricordo.
Fini rischia molto, forse tutto.
Ma è anche per questo che, fosse anche solo per un giorno, è diventato leader come mai era stato prima.
Michele Brambilla
(da “La Stampa“)
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