FRANCESCO GHELARDINI, UNA VITA DA RAPINATORE DI BANCHE: “ORA FACCIO IL SOCCORRITORE”
“BRUCIAI 500 MILIONI DI LIRE IN 8 MESI, ORA SONO CAMBIATO. IL CARCERE TI OFFRE UNA POSSIBILITA’, STA A TE COGLIERLA”
Incredibile fu quel vecchietto che si offrì ostaggio al posto di un ragazzo che in preda a unacrisi di pianto aveva temuto d’essere ucciso. Invece lui si offrì di accompagnare i banditi fuori dalla banca. E una volta nella porta a bussola, si rivolse compiaciuto verso chi se ne andava con il bottino: «Bel colpo».
Fu davvero così?
«Eravamo nel centro di Milano. Era molto anziano, alto, elegantissimo, coi baffetti, la bombola d’ossigeno. Ricordava l’attore Errol Flynn».
Francesco Ghelardini, 58 anni, marcato accento milanese, quella scena se la ricorda come se fosse ieri. In realtà sono passati anni. E soprattutto una vita, la sua. «Da anni sono assunto a tempo indeterminato come responsabile e soccorritore alla “Intersos” di Abbiategrasso. La mia nuova vita è questa, con la divisa. Mi è stata data una possibilità, non smetterò mai di ringraziare i responsabili della società».
Lei però nasce con tutt’altra storia.
«Cresciuto in Comasina, ho iniziato giovanissimo. Ero sveglio, mio fratello più grande era già nel giro. Ho sempre frequentato ragazzi più grandi. Un giorno ero al bar e mi fanno: “Vuoi venire a fare una rapina?”. Non ci ho neanche pensato».
Inizia a svaligiare le banche a 18 anni, ultimo colpo nel 2013 e arresto due anni dopo.
«Come se avessi passato metà vita in carcere».
Quando ha deciso di smettere?
«Con quell’ultimo arresto. Ero a San Vittore, nelle celle prima di salire ai piani. Per la prima volta ho detto “no ca… io stavolta non ci sto dentro. La faccio finita”. Il carcere era cambiato, dentro avevo ritrovato gente più grande di me che aveva 65-70 anni ed era ancora in galera. Lì c’è stato lo switch mentale, senza alcun sintomo in precedenza».
Ma quindi il carcere funziona?
«A parte Bollate e rarissime eccezioni, no. Ma ti offre una possibilità. Sta a te coglierla, se vuoi uscire qualcuno ti noterà. Non te la vengono a porgere, sei tu che devi fare il passo avanti. Io l’ho fatto grazie a persone che mi hanno dato questa opportunità. Psicologi, educatori, sacerdoti, l’ex direttore di San Vittore, Luigi Pagano».
È venuto con lei a presentare il libro che ha scritto sulla sua esperienza.
«Una persona straordinaria».
Ghelardini, ma con le rapine si diventa ricchi?
«Ne conosco pochi che sono riusciti ad arricchirsi veramente. Anche perché è vero che si rubano soldi, ma lo scopo della rapina in fondo non è il denaro…».
Davvero?
«Quando fai una rapina non pensi mai alla ricchezza fine a sé stessa. Alla fine rimani su una linea media, abbastanza costante. Il “lavoro” molto sostanzioso capita, ma non ho mai conosciuto un rapinatore che dicesse arrivo a un miliardo e mi fermo. Sono sempre andati avanti».
Perché non ci si ferma?
«Capisco che non sia politicamente corretto dire una cosa del genere, ma è così: quando rapini le banche, ti piace da matti».
Una droga?
«Un esterno pensa che tutto duri pochi minuti, ma c’è la preparazione, lo studio dell’obiettivo, la preparazione psicologica. È come essere sul rasoio tutto il giorno. E anche il dopo rapina diventa emotivamente forte…».
Cosa succede?
«Io durante i colpi non urlavo, ero sempre molto calmo, ma buttavo fuori litri di sudore. Quando ci trovavamo con i complici per spartirci il bottino, vomitavo. Vomitavo bile. Farsi di cocaina a confronto è bere acqua fresca».
Ma davvero non si diventa ricchi?
«Nel ’92 mi sono “ballato” via 500 milioni di vecchie lire in otto mesi. Non riesci ad attribuire un vero valore al denaro che rubi».
Quante rapine ha fatto?
«Ehh, difficile contarle. Posso dire che quelle che in cui sono stato scoperto sono il 5%, ma ho fatto comunque più di vent’anni di carcere».
Voi rapinatori siete (e vi ritenete) un po’ una razza a parte nella malavita.
«Tra noi e gli spacciatori c’è un abisso. Ci riconosciamo. A volte in carcere scherzavamo sulle rapine, su come siamo stati presi. Siamo easy, c’è grande rispetto ma umano, non per l’essere criminale. Anche perché c’è una cosa che ci differenzia dagli altri».
Cosa
«Che comunque per entrare in una banca ci vuole coraggio. Non sai quello che ti capiterà, puoi essere preso, possono spararti».
E puoi mettere in conto di morire o di uccidere.
«È vero, quando lo fai non ci pensi. Per fortuna non ho mai ucciso nessuno. Ma una volta ho tirato due fucilate a una cabina del telefono per creare un diversivo per coprirci la fuga. Però serve coraggio, al contrario, anche per chi ci dà la caccia…».
Lei alla presentazione di uno dei suoi libri ha «abbracciato» uno dei carabinieri che l’ha arrestata
«Ho grande rispetto degli investigatori. Sai che loro ti danno la caccia, diventa quasi una sfida, giocata sull’astuzia. E vale per entrambi».
E la paura di essere presi?
«Dopo i colpi sparivo, andavo al mare. Ma se sapevo di aver commesso un errore non ero tranquillo perché prima o poi sarebbero arrivati».
E oggi quando si ritrova davanti a una banca, nessuna nostalgia?
«Come passare davanti al panettiere. Ho troppo da perdere: una moglie eccezionale, un lavoro che mi appassiona e mi permette di servire gli altri».
Sicuro?
«Di recente sono entrato in un istituto con mia moglie per una commissione. La cassaforte era aperta in bella vista. Mai che mi fosse capitato prima (ride)».
(da la Stampa )
Leave a Reply