FRANCESCO GUCCINI A RUOTA LIBERA: LA TELEFONATA CON MELONI, L’INTELLIGENZA DI SALVINI E TONY EFFE
“ELLY SCHLEIN? NON MI DISPIACE”… “MELONI PIU’ INTELLIGENTE DI SALVINI? NON CHE CI VOGLIA GRANCHE'”
«Non mi sono mai piaciuti i vincitori. Al liceo tifavo per i Troiani, pur sapendo che avrebbero perso, anzi proprio per questo. Ora per coerenza voto Pd. E tifo Juve, che di questi tempi non vince più neppure lei». Si potrebbe parlare dell’intervista di Aldo Cazzullo a Francesco Guccini sul Corriere della Sera come di una confessione, se non fosse che il cantautore modenese classe 1940, uno dei pilastri della storia della musica italiana, non ha mai risparmiato opinioni chiare e nette.
Come quelle sulla politica attuale, lui che da militante «non comunista», ci tiene a ribadirlo anche in quest’ultima intervista, con la sua musica ha sempre partecipato attivamente al dibattito. La Locomotiva, uno dei sui cavalli di battaglia, scritta «in venti minuti», ne è un tipico esempio.
Il protagonista era un anarchico ma, riflette Guccini, «oggi che senso avrebbe dichiararsi anarchico? Anche se viviamo davvero in un periodo fosco, oscuro». A questo proposito il cantautore torna su quel famoso rifiuto ad Atreju, lanciato dalle pagine del Corriere e che fece scalpore: «Non vado ad Atreju perché i fascisti non mi piacciono», ancor prima, come ricorda Cazzullo, che Fanpage svelasse la matrice di certi circoli di Fratelli D’Italia.
«Pure per me, che ormai sono quasi cieco per la maculopatia – ammette Guccini – non era difficile vedere che non c’era bella gente». Perfino la Meloni in persona chiamò Guccini per invitarlo, «Fu cortese. E io cortesemente declinai. la trovo furba. Intelligente. Pericolosa. E urla troppo» commenta oggi, e se gli si chiede se però è più intelligente di Salvini, l’artista liquida la domanda con una battuta fulminea: «Non che ci voglia granché».
Pericolosa, continua a spiegare Guccini, «perché ha tentato di imporre riforme che avrebbero stravolto la Costituzione. Ora sia il premierato sia l’autonomia pare stiano rientrando. L’intenzione però era quella: una forma moderna di autocrazia, alla Orban».
A differenza di tanti intellettuali di sinistra, Guccini si dimostra preoccupato anche per una certa rinnovata fascinazione per il fascismo: «una certa voglia serpeggia. Gli italiani tendono a voltarsi sempre da quella parte» dice. Più morbido invece con gli esponenti di sinistra, sia con Bersani («A me, con la sua pacatezza, piace») sia con Elly Schlein («Non mi dispiace. L’ho conosciuta ai funerali di Sergio Staino. E poi con Schlein c’è un montanaro delle mie parti cui ho dato il mio endorsement, Igor Taruffi»).
Ligabue, Zucchero, Dalla e Vasco
Il primo degli amici che viene in mente a Francesco Guccini è l’arcivescovo di Bologna, Matteo Zuppi, «per quanto mi sembra impossibile avere un amico cardinale». Tra i colleghi invece due nomi: Luciano Ligabue e Zucchero, con cui «chiacchieriamo in dialetto emiliano, anche se loro sono reggiani: testi queder, teste quadre».
Più complesso il rapporto con Lucio Dalla, altro eterno della musica targata Emilia-Romagna, «Non eravamo amici, troppo diversi – dice – ci vedevamo a Bologna, da Vito. Una sera venne Vasco Rossi: voleva conoscere l’autore de L’avvelenata. Una canzone che non amo, è piena di parolacce… Fui anche denunciato da un maresciallo dei carabinieri e processato per oltraggio al pudore. Mi assolsero». E, a proposito di Vasco Rossi: «mi è piaciuto moltissimo quello che ha scritto di suo padre, prigioniero dei nazisti. Anche il mio era un Imi». Ma l’affinità artistica che sente di più è quella con Fabrizio De André: «Anche lui affascinato dagli anarchici. C’era già la canzone d’autore, Paoli, Tenco, Endrigo…ma erano sempre canzoni d’amore. Fabrizio e io cominciammo a parlare d’altro. Ricordo la prima volta che ci incontrammo, lui timidissimo, si convinse dopo grandi preghiere a cantare un suo brano, ma a luci spente. La differenza è che De André veniva da una famiglia borghese».
Tutti nomi di un certo spessore, normale forse alzare le braccia dinanzi alla vicenda Tony Effe: «Non lo conosco, ma la censura è sempre sbagliata, anche se quella di Roma è una vicenda diversa. Io fui censurato per Dio è morto: la radio non poteva trasmetterla. Per fortuna passò su Radio Vaticano. Si erano accorti del finale: “Se Dio muore è per tre giorni e poi risorge”».
(da agenzie)
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