FRATELLO D’ITALO, NUOVO VENDITORE DI FUMO E PROPAGANDA
IL RITORNO DI ITALO BOCCHINO, IL GAGA’ DELLA DESTRA ITALIANA
La fine apparente del berlusconismo e ancor più il declino reale di Fini hanno comportato l’avvilente scomparsa mediatica di Italo Bocchino. Di colpo, il gagà della destra italiana passò da un’onnipresenza politica (nonché gossippara e talora giudiziaria) all’assenza. Tutti ce ne dolemmo. Poi, finalmente, il ritorno.
Oddio, ritorno: in realtà, con quello di ieri, il Bocchino odierno c’entra poco. Non a caso, quando qualcuno (pochi) gli fa notare come la pensasse nel 2010 su Berlusconi e Meloni, ovvero negli anni in cui era più finiano di Fini, lui cade dal pero e cambia subito discorso.
L’ascesa di Donna Giorgia ha rispalancato le porte dei talk show di punta a questo disinvolto e querulo 56enne venditore di fumo propagandistico. Se c’è da difendere l’indifendibile, ovvero Meloni e il suo governaccio di peracottari quando va bene e fascistelli quando va male, Bocchino scatta sull’attenti e parte col mirror climbing. La sua qualifica ufficiale è quella di direttore del Secolo d’Italia, spietato organuccio ufficiale di Fratelli d’Italia, attraverso il quale Bocchino manganella qualsivoglia oppositore .
Parlantina mediamente fluida e propensione logorroica assai, Bocchino preferisce frequentare i talk show non certo di destra per tre motivi: perché è un uomo intelligente; perché è un uomo vanitoso (e dunque va dove si fanno più ascolti); e perché ama recitare la parte del martire, l’unico di destra in un salotto (secondo lui) di sinistra o peggio ancora grillino.
È allora che Bocchino, tra una supercazzola di sette ore e una perifrastica chilometrica prematurata con scappellamento a destra, parte con il solito “Sì, ma mi faccia parlare, qua sono in minoranza, non siete democratici!”.
Tutto quello che ha fatto in passato è ovviamente passato in cavalleria. Il finismo, le relazioni con Mara Carfagna e Sabina Began, le archiviazioni (partecipazione in associazione a delinquere e concorso in turbativa d’asta nel caso Global Service del 2009), i 2 miliardi e 400 milioni di lire ricevuti per il quotidiano napoletano Roma nel 2001 dalla Finbroker (fatto non penalmente rilevante) e l’inchiesta Consip (prosciolto dalle tre accuse più gravi, è stato rinviato a giudizio per traffico di influenze illecite).
Tutto dimenticato: il Bocchino iper-meloniano è come nuovo. Qualcuno lo critica per i capelli forse tinti. Chi lo fa sbaglia, non tanto perché continuare a pensare nel 2023 che solo le donne possano (o addirittura debbano) tingersi è da citrulli, ma – più che altro – perché i capelli di Bocchino non sono tinti: sono nerissimi come presa di posizione ideologico-tricologica. Se Bocchino avesse anche solo un capello bianco, si sentirebbe molle come Gentiloni e andrebbe come minimo in analisi. Lui si sente il Farinacci del nuovo millennio, mica può esibire debolezze. Ogni giorno si dimena come un ossesso per tamponare tutte le falle di questo esecutivo di scappati di casa.
Italo Balb… (ah no, scusate: Bocchino) agisce sempre nello stesso modo. Arriva in studio. Fa i complimenti a tutti i presenti (sperando di fargli abbassare la guardia). Butta là qualche battuta per sembrare simpatico. E poi crivella senza pietà. O almeno ci prova.
Venerdì, ad Accordi & Disaccordi, ha detto: “Che voto darei da 1 a 10 a Meloni? 11! E al suo governo 10,9”. Capite bene che uno che dà 10,9 a Roccella, Mollicone, Donzelli e Valditara è capace di tutto.
Non avendo freni né ritegno, nulla lo può fermare. Se non l’onestà intellettuale, che però ha meno voti di Renzi.
(da Il Fatto Quotidiano)
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