FROTTOLE DI GOVERNO: PER I MELONIANI L’INFLAZIONE VA GIU’ GRAZIE A LORO
BALLISTI SENZA RITEGNO: IL CALO DEI PREZZI E’ DOVUTO ALLA DISCESA DEI PREZZI DELL’ENERGIA A ALLA STRETTA MONETARIA DELLA BCE, LA STESSA CONTRO CUI IL GOVERNO ITALIANO SI SCAGLIA QUOTIDIANAMENTE
Sarà il caldo agostano o, più probabilmente, la solita smania dei politici di attribuirsi meriti altrui che, portata all’eccesso, può talvolta produrre effetti grossolani. Il partito di Giorgia Meloni pare aver adottato una strategia comunicativa a dir poco azzardata. Secondo il presidente del gruppo dei meloniani al Senato Lucio Malan, se l’inflazione in Italia sta calando il merito è delle politiche attuate dall’esecutivo: “Il governo precedente ci ha lasciato l’inflazione all’11,8%. Ora è al 5,9%: dimezzata. E andiamo avanti”, ha twittato. A stretto giro è stato emulato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, con l’aggiunta di un po’ di enfasi agonistica: “Dopo i dati positivi su occupazione ed esportazioni, anche il calo dell’inflazione conferma che la direzione intrapresa dall’Esecutivo è quella giusta. Grazie al lavoro del Governo Meloni l’Italia torna a vincere”.
Lo sforzo propagandistico nasce dalla diffusione di giovedì da parte dell’Istat dei dati sull’andamento dell’indice dei prezzi al consumo. A luglio l’inflazione in Italia si è attestata al +5,9% rispetto al +6,4% di giugno. Un dato migliore della stima preliminare e che segna per la prima volta un calo sotto la soglia del 6% che non si vedeva da aprile 2022. La dinamica dell’inflazione, “ancora fortemente influenzata dall’evoluzione dei prezzi dei beni energetici”, ha spiegato l’istituto di statistica, “riflette anche il rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei prodotti alimentari lavorati (che tuttavia restano su ritmi di crescita relativamente sostenuti) e dei servizi”. Rallenta, inoltre, l’inflazione di fondo, che a luglio si attesta al +5,2%.
Il calo è dovuto, ha aggiunto l’Istat, alla discesa dei prezzi in alcuni settori. In particolare, nei servizi, l’indice risente principalmente delle dinamiche dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +4,7% a +2,4%, +0,4% rispetto a giugno) a causa dell’attenuazione di quelli del Trasporto aereo passeggeri (da +23,5% a +0,8%; +2,2% rispetto al mese precedente) e, in misura minore, del Trasporto marittimo e per vie d’acqua interne. Nota a margine: le misure previste dal Governo Meloni con il Dl Asset per contrastare il caro-voli non c’entrano nulla, perché sono state adottate successivamente al periodo cui fanno riferimento i dati Istat, e anche perché si applicano in particolare ai voli nazionali verso la Sicilia e la Sardegna. La decelerazione dei prezzi dei beni invece è dovuta principalmente all’andamento dei Beni energetici, (la cui variazione su base annua passa da +2,1% a +0,7%; -1,4% il congiunturale), essenzialmente per effetto della componente non regolamentata.
In altri termini, come avviene da diversi mesi, i prezzi scendono perché sta calando costantemente il prezzo dell’energia elettrica e del gas, ovvero la causa scatenante della corsa inflazionistica. A riprova di questo, il calo è generalizzato in tutta Europa e negli Stati Uniti, dove l’operato del Governo Meloni non produce effetti. In Francia a luglio l’indice dei prezzi al consumo è rallentato al 4,3% su base annua, rispetto al 4,5% di giugno. I prezzi dell’energia sono scesi del 3,7% su base annua a luglio, mentre i prezzi degli alimenti sono aumentati bruscamente del 12,7%, ma in misura minore rispetto a giugno. In Spagna l’indice è al 2,3%, in Portogallo è al 3,1%, in Germania al 6,2%, negli Stati Uniti è al 3,2%.
L’andamento è generalizzato e riflette diversi fenomeni. Come detto, superata la crisi energetica scatenata dalla Russia dopo l’invasione dell’Ucraina, i prezzi energetici stanno registrano continui e costanti cali da mesi. Ma anche un altro elemento ha contribuito al rallentamento, ovvero le politiche monetarie adottate dalle banche centrali per cercare di deprimere la domanda e frenare così la corsa dei prezzi. Quelle stesse politiche della Banca Centrale Europea che il Governo Meloni critica puntualmente da settimane perché – non a torto – rischiano di innescare una recessione economica.
Nel secondo trimestre del 2023, secondo le stime preliminari dell’Istat, il prodotto interno lordo, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è sceso dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e aumentato dello 0,6% in termini tendenziali. Tra aprile e giugno, l’economia italiana ha registrato quindi un risultato inferiore agli altri principali partner europei. Il Pil è diminuito dello 0,3% in termini congiunturali, e se questo calo dovesse proseguire anche nel terzo trimestre il Paese entrerebbe ufficialmente in recessione. Risultati non edificanti che il Governo Meloni si è ben guardato dal rivendicare, e che molti si sono ben guardati dall’attribuirgli perché alla base delle spinte al ribasso c’è la forte stretta monetaria delle banche centrali e i loro effetti sul sistema del credito per famiglie e imprese a circa un anno dal primo rialzo dei tassi deciso dalla Bce. Tra maggio 2023 e maggio 2022 i prestiti bancari alle imprese italiane (società non finanziarie) sono calati del 5% (-33,3 miliardi di euro) e tra i 20 Paesi dell’Eurozona solo Cipro ha avuto un risultato peggiore del nostro, secondo i dati della Cgia di Mestre. Non solo: secondo i dati del IV trimestre 2022, ovvero prima di ulteriori rialzi dei tassi decisi dalla Bce, in Italia le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare sono calate del 10,2% rispetto al trimestre precedente e del 17,2% su base annua. Numeri destinati a salire, contribuendo al rallentamento del mercato immobiliare.
Come giustamente notato qualche giorno fa dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, “sui risultati” del Pil hanno influito “la flessione del ciclo internazionale dell’industria, il rialzo dei tassi di interesse e l’impatto della fase prolungata di rialzo dei prezzi sul potere d’acquisto delle famiglie; in Italia, come nel resto d’Europa, la fiammata inflazionistica è stata una delle conseguenze negative del conflitto in corso, che continua a rappresentare il principale fattore d’incertezza”. Quando le cose vanno male, insomma, la colpa è da ricercare in fattori esterni ma se i dati sono positivi allora il merito dell’esecutivo appare indubbio. Un modo da operetta di propagandare la realtà, un esercizio grossolano nel quale – benché quelli precedenti abbiano certamente brillato – il Governo attuale intende primeggiare.
(da agenzie)
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