GHEDDAFI: “LA LEGA MI CHIESE UN AIUTO PER LA SECESSIONE”, C’E’ UN TESTIMONE CHE CONFERMA : “NON ARMI, MA SOLDI PER COMPRARE UN QUOTIDIANO”
BOSSI HA REPLICATO “ASSURDO, ABBIAMO GLI UOMINI E LE ARMI SI FANNO IN LOMBARDIA”…UNA DELEGAZIONE LEGHISTA COMPOSTA DAL DEPUTATO BELARDINELLI E DA PINO BABBINI NEGLI ANNI ’90 ANDO’ A TRIPOLI IN VESTE UFFICIALE PER CHIEDERE 300 MILIARDI PER ACQUISTARE “IL GIORNO”… TORNARONO CON UNA CAMPIONATURA D’AGLIO
Gheddafi che la butta lì, nell’intervista alla tv francese: «La Lega mi ha chiesto aiuto».
E Umberto Bossi che replica dal Transatlantico di Montecitorio: «Ma vi pare… Abbiamo tantissimi uomini e le armi si fanno in Lombardia. Gheddafi è un gatto che sta affogando e si arrampica. La storia insegna che chi spara sulla sua gente finisce male. Ricordate Umberto I, fu ucciso».
Risposta secca, che dovrebbe chiudere la partita con Bossi vincitore.
E invece potrebbe essere un pareggio.
Vero che Bossi non ha mai chiesto armi.
Però ha le sue ragioni anche il Colonnello.
Almeno una richiesta ci fu. Soldi. «Anni Novanta», è la data fissata da Roberto Bernardelli, allora parlamentare leghista e consigliere comunale a Milano.
E così comincia il racconto riportato da pagina 379 di «Umberto Magno», il libro di Leonardo Facco pubblicato l’anno scorso da Aliberti editore.
Il racconto in presa diretta di un’impresa che si avvia con grandi onori e ambizioni, sfiora più volte il comico e finisce con un fallimento.
Con Bernardelli, albergatore milanese che negli Anni 80 s’era inventato il Partito dei Pensionati, anche Pino Babbini, il primo autista di Bossi, pure lui consigliere comunale.
Era la «delegazione africana».
«Babbini riuscì ad ottenere le credenziali per andare in Libia – racconta Bernardelli -. Partimmo da Linate e atterrammo a Djerba. Insiema a noi c’era una specie di alpino, un valligiano del Bergamasco che doveva farci da interprete, dato che aveva lavorato per anni in quel Paese. Motivo della nostra missione? Dovevamo farci dare i soldi da Gheddafi per acquistare «Il Giorno», l’ex quotidiano dell’Eni che in quegli anni era stato messo in vendita.
Due Mercedes nere che ci aspettavano sotto l’aereo.
Ci portarono a Tripoli, dove probabilmente pensavano che fossimo due ministri. A Babbini diedero una suite, a me un’altra, roba di gran lusso».
L’obiettivo era incontrare il Colonnello.
«Ma ci fecero incontrare il ministro degli Esteri, persona colta che parlava perfettamente italiano. Babbini, che si rivolgeva a me in milanese, iniziò una specie di comizio finchè lo obbligai a calare gli assi. Avanzò al ministro la richiesta di acquistare “Il Giorno” in cambio dell’appoggio leghista contro l’embargo della Libia. Mi lasciò sbigottito la cifra abnorme che venne richiesta, roba tipo 300 miliardi delle vecchie lire. Il ministro non fece una piega e iniziò lo scambio di doni. Pezzo forte due spillette di Alberto da Giussano in oro, una per Gheddafi».
Diffidenti, però, i due leghisti più l’alpino bergamasco della «Delegazione africana».
Ancora Bernardelli: «Babbini, mentre stava per consegnare al ministro il gingillo da donare al Colonnello, mi guarda e in milanese mi disse: ”Ma queschì ghe ‘l dà a Gheddafi”».
Non hanno mai saputo se il Colonnello abbia davvero ricevuto il gingillo d’oro, o l’altro omaggio, il libro «Quattro Gatti sul Po» pubblicato nel 1996 dall’Editoriale Nord.
Ma quella sera nelle suite con guardie del corpo fuori dalla porta era cominciata una notte di ansia e angoscia.
«Ovviamente arrivò la ferale notizia che non ci avrebbero dato i soldi – aggiunge Bernardelli-. Babbini ci restò male. Non sapendo come chiudere il colloquio, tirò fuori il progetto di un albergo costruito a Sesto San Giovanni e propose ai libici l’acquisto dell’edificio. Anche lì il ministro storse il naso. Preso dallo sconforto, tentò poi di instaurare un rapporto di tipo commerciale, citando la zona della Sirte…».
Niente, il libico non ci sente.
E Bernardelli la ricorda così: «Siam partiti per cercare di avere i soldi per acquistare un giornale e siamo tornati in Italia con una campionatura d’aglio!». Anche Gheddafi non ha dimenticato.
Giovanni Cerruti
(da “La Stampa“)
Leave a Reply