GIORGIA BIFRONTE: PARTECIPERÀ AL VERTICE EUROPEO DI PARIGI PER L’UCRAINA MA NON SOPPORTA L’ATTIVISMO DI MACRON
LA PREMIER DELLA GARBATELLA, CHE SOGNAVA DI ESSERE IL “PONTE” TRA EUROPA E TRUMP, DIMENTICA CHE LA FRANCIA E’ L’UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA, PRESENTE NEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU… LA RESISTENZA PER RAGIONI DI ”AGENDA” E IL PATETICO TENTATIVO DI TENERE SULLA CORDA L’ELISEO
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni sarà nel pomeriggio a Parigi per il vertice convocato dal presidente francese Emmanuel Macron sull’Ucraina. Lo comunica Palazzo Chigi aggiornando l’agenda della premier che oggi anticiperà alle 13.30 la partecipazione alla Conferenza dei prefetti e dei questori d’Italia alla Scuola Superiore Amministrazione dell’Interno.
Per lo stesso motivo slitta a mercoledì alle 12 il Consiglio dei ministri, inizialmente convocato per oggi pomeriggio alle 17. Invariato il resto dell’agenda che prevede per domani alle 16 l’incontro a Palazzo Chigi con il Commissario europeo per gli Affari interni e la migrazione, Magnus Brunner e mercoledì la mattina la partecipazione di Meloni alla cerimonia di giuramento dei nuovi giudici della Corte Costituzionale e nel pomeriggio la visita del presidente dello Stato d’Israele, Isaac Herzog.
Non le piace il formato scelto da Emmanuel Macron per il vertice di Parigi. Lamenta l’assenza al tavolo europeo di alcuni attori chiave lungo il confine orientale, ad esempio le capitali baltiche.
«È assurdo che non ci siano». Non gradisce di dover mettere la faccia su un’operazione politica continentale che certifica la frizione con Donald Trump.
Sente Emmanuel Macron, si lamenta. Avrebbe preferito vedersi a Bruxelles, in territorio neutro. Prova anche ad accampare ragioni di agenda e di scarso preavviso per tenere sulla corda l’Eliseo. E lascia aperta l’improbabile opzione di limitarsi a un videocollegamento con il summit, che avrebbe del clamoroso. Giorgia Meloni deciderà all’ultimo minuto, oggi, prima di pranzo. Ma alla fine, in qualche modo, parteciperà.
È strategia studiata, che manda in ansia la Farnesina e certo non rende felice il Colle. Tutto frutto di ragioni politiche e diplomatiche evidenti: la presidente del Consiglio non ha voglia di lasciare al leader francese il timone della reazione europea alla crisi ucraina. Non intende regalare slogan antieuropeisti troppo facili a Matteo Salvini. E preferisce mostrare alla Casa Bianca che punta a giocare da ala destra del blocco continentale.
L’equilibrismo delle ultime ore segnala il dilemma che lacera la premier negli ultimi giorni: non può non stare con l’Unione, ma soffre a mostrarsi delusa dalle mosse del tycoon
Un passo indietro, a ieri pomeriggio. Per alcune ore, Palazzo Chigi spegne letteralmente i radar. Nessuna conferma ufficiale sul viaggio a Parigi. La prima reazione di Meloni, d’altra parte, è assai critica verso Macron.
Secondo la leader, il francese ha sbagliato mossa: invece di attendere i primi passi concreti degli americani, come aveva suggerito l’Italia, ha scelto di accelerare (in realtà, l’esigenza di battere un colpo arrivava praticamente da tutti i leader riuniti a Monaco).
Il primo formato ipotizzato dall’Eliseo – il Weimar plus, quello che assieme a Roma vede allo stesso tavolo Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia – viene considerato dalla presidente del Consiglio un altro errore. Passano alcune ore e diventa chiaro che ci saranno anche i vertici del Consiglio e della Commissione europea, e poi l’Olanda e la Danimarca, ma soprattutto il segretario generale della Nato Mark Rutte.
La premier è costretta a riconsiderare la valutazione iniziale: difficile sfilarsi, se anche l’Alleanza atlantica parteciperà al summit. A quel punto decide di farsi portavoce con Macron del disagio dei baltici, esclusi dal summit: «Non ha senso».
Ma non basta. Le prova tutte, pur di tenersi almeno un passo di lato.
Dilemmi. E nervosismo per quello che deve, nonostante tutto, sostenere al fianco dei partner: una reazione europea decisa alle mosse di Trump. Ci sarebbe da rispondere anche a J.D. Vance, che ha sfidato il continente con argomenti cari a Elon Musk.
Sono ragionamenti però non troppo distanti da quelli messi in fila da Meloni mesi fa all’Atlantic Council, a proposito dei valori fondativi dell’Occidente. Ecco perché Meloni non si è indignata ascoltando il vicepresidente Usa: «Quello che ha detto non è uno scandalo».
Eppure, sempre con l’Europa è costretta a schierarsi. Nella battaglia sui dazi, ma anche nella partita per l’Ucraina. Oggi dirà che va accordata fiducia a Washington, ma che la pace deve essere giusta
L’Europa, sosterrà, può fare leva sulle sanzioni a Mosca: per toglierle, deve essere coinvolta, dunque Trump dovrà chiamarla al tavolo. E poi, sosterrà che gli Usa devono fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina e all’Ue.
Ad esempio, attrezzando il confine orientale della Nato con missili a lunghissima gittata, blindando di fatto il confine della tregua. Non è detto che basti a Kiev, ma potrebbe garantire gli eventuali militari europei (e italiani, che potrebbero essere alcune migliaia) impegnati in una missione di peacekeeping.
(da agenzie)
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