GIORGIA MELONI DEVE FARE IN FRETTA: SE VUOLE LIBERARE CECILIA SALA IN CAMBIO DELL’IRANIANO MOHAMMAD ABEDINI NAJAFABADI, DEVE FARLO PRIMA DELL’ARRIVO DI TRUMP
FINCHÉ C’È BIDEN, UN “NO” ALL’ESTRADIZIONE DELL’INGEGNERE-SPIONE DI TEHERAN NEGLI USA SAREBBE ANCORA FATTIBILE… LA GENESI DELL’ARRESTO: GLI AMERICANI SAPEVANO CHE ABEDINI DA MALPENSA SAREBBE STATO PRELEVATO IN AUTO E PORTATO IN SVIZZERA
Non è stato un caso. Gli Stati Uniti hanno scelto di arrestare Mohammad Abedini Najafabadi in Italia perché sapevano, evidentemente, di potersi fidare. Hanno aspettato che arrivasse nel nostro paese, mentre era di passaggio tra la Turchia e la Svizzera, quando ancora non sapeva di essere ricercato. E hanno avvisato le nostre forze di polizia ottenendo una collaborazione immediata.
La stessa che, evidentemente, si aspettano oggi. Non è un caso che — in attesa di completare l’iter per la richiesta di estradizione, che non è ancora formalmente stata presentata al ministero della Giustizia — abbiano chiesto espressamente di non mandare Najafabadi agli arresti domiciliari. «Potrebbe scappare », dicono.
Per capire bene la storia è però il caso di riavvolgere il nastro e partire dal principio. E cioè dalla mattina del 16 dicembre quando dal dipartimento di Stato americano arriva una telefonata all’antiterrorismo italiano.
Avvisano che alle 17.35 atterrerà, proveniente da Istanbul, all’aeroporto di Milano Malpensa, il cittadino iraniano Najafabadi, un signore per cui il tribunale distrettuale degli Stati Uniti per il distretto del Massachusetts, «nell’ambito del procedimento n.24-MJ-1737-DLC», ha disposto un mandato d’arresto per reati molto gravi commessi dal 2016 al 2024. Lo aveva fatto tre giorni prima, il 13 dicembre.
L’iraniano non conosceva le accuse — così come nulla sapeva il suo presunto complice Mahdi Mohammad Sadeghi, che gli americani avevano fermato lo stesso giorno in Massachusetts — e per questo si era serenamente imbarcato sul volo che doveva portarlo in Svizzera.
«Najafabadi — si legge negli atti — è cofondatore e amministratore delegato di Sdra, una società con sede in Teheran con collegamenti con il governo e le forze armate, compreso il corpo delle Guardie della rivoluzione islamica. Nello specifico — spiegano gli americani — la Sdra produce i sistemi di navigazione che l’Iran utilizza nei suoi droni Shahed, che vengono utilizzati per commettere attacchi terroristici in tutto il mondo, inclusa la guerra della Russia in Ucraina».
Nello specifico gli americani dicono di avere la prova che il sistema di navigazione del drone che il 28 gennaio del 2024 aveva ucciso 3 soldati americani e ferito 38 persone in Giordania sia stato costruito negli Usa e messo in commercio attraverso una società svizzera riconducibile a Najafabdi, direttore dell’azienda iraniana Sdra.
Per gli Usa era fondamentale arrestare Najafabadi appena atterrato in Italia. Perché sapevano che da Malpensa sarebbe stato prelevato in auto e portato subito in Svizzera. Dove l’uomo aveva un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. E dove, evidentemente, sarebbe stato più difficile ottenerne l’arresto: anzi, il mandato d’arresto americano non è stato mai nemmeno trasmesso a Berna, evidentemente perché sicuri di fermarlo in Italia.
Da quanto risulta a Repubblica , il rapporto dell’iraniano con la Svizzera non è solidissimo. L’attività principale di Najafabadi è in Iran. Quello in Europa sarebbe principalmente un ufficio di corrispondenza con fatturati dichiarati bassi. «Ma ha solidissimi rapporti e un’ingente risorsa finanziaria per poter fuggire», hanno detto gli americani al ministero della Giustizia italiano
Per due giorni la notizia dell’arresto viene tenuta sotto traccia. Forse anche all’Iran. Il 19 però tutto diventa noto. Viene fissata l’udienza per il consenso all’estradizione: il ministero della Giustizia esprime parere positivo. Najafabadi nomina il suo avvocato di fiducia, Alfredo de Francesco, esperto di diritto internazionale. Un’ora e mezza dopo a Teheran viene arrestata, senza alcun motivo, Cecilia Sala.
(da La Repubblica)
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