GIORGIA MELONI VOLERÀ FINALMENTE NEGLI STATI UNITI PER IL TANTO AGOGNATO FACCIA A FACCIA CON TRUMP: MA COSA ANDRÀ A FARE? A FARSI SCATTARE QUALCHE FOTO PER FAR ROSICARE DI INVIDIA MATTEO SALVINI
L’EVENTUALITA’ CHE, DOPO OCCHIONI E MOINE MELONIANE, IL TRUMPONE RINCULI DAL 20% A ZERO DAZI E’ DA ESCLUDERE, MA L’UNDERDOG NON PUO’ TRATTARE NEMMENO UN DIMEZZAMENTO DELLE TARIFFE RECIPROCHE AL 10% PERCHE’ LA NEGOZIAZIONE DEVE PASSARE PER BRUXELLES
Giorgia Meloni volerà negli Stati Uniti il 16 aprile per il tanto agognato faccia a faccia con Donald Trump. Ma cosa andrà a fare, e quale risultato otterrà dal Caligola di Mar-a-Lago è un insondabile mistero.
Innanzitutto perché il presidente americano ha dimostrato di essere inaffidabile, irrazionale, mosso da pulsioni umorali e prive di qualsiasi logica politica e diplomatica, come confermano i suoi primi tre mesi di Casa Bianca.
L’eventualità che il protervo Trump, sedotto dagli occhioni e dalle moine meloniane, decida di rinculare a zero dazi, è da escludere: perderebbe la faccia in mondovisione.
La Ducetta spera di riuscire a mitigare la mannaia dazista all’Unione europea, dimezzandoli dal 20 al 10%? Suona subito come una mission impossible per le seguenti ragioni.
La prima è che, come confermato pubblicamente da Ursula von der Leyen, a trattare sui dazi è solo il commissario europeo al commercio, lo slovacco Maros Sefcovic (che questa mattina ha anticipato il vertice sui dazi in Lussemburgo parlando di “un nuovo paradigma del sistema commerciale globale”).
Nessun altro leader è dunque autorizzato a parlare in nome dell’Unione sulle tariffe. Una linea condivisa dai principali leader europei e ribadita oggi dal ministro tedesco
dell’Economia, Robert Habeck: “L’Europa non si lascerà dividere adesso. Ciò significa che i Paesi non dovrebbero cercare di negoziare i vantaggi per se stessi, perché questo non gioverebbe a nulla. Abbiamo visto che i Paesi che in passato hanno cercato di farlo non sono stati risparmiati. La forza nasce dall’Unione”.
La seconda ragione è che nell’ormai celebre cartellone mostrato da Trump, al momento dell’annuncio delle nuove misure sul commercio internazionale, non c’erano i singoli Paesi dell’Ue ma una generica dicitura “Europe” (giusto sotto la Cina, mettendo in correlazione i due principali “nemici e parassiti” dell’America).
La terza ragione è che, se Giorgia Meloni sperasse di ottenere uno “sconto” per l’Italia sui dazi relativi al settore agroalimentare, si isolerebbe in Europa: già adesso è considerata poco più che una cheerleader trumpiana, in quel caso entrerebbe nel club dei traditori insieme a Orban e alle altre quinte colonne del mondo “Maga” in Ue.
L’unico spazio che oggi ha a disposizione la Thatcher della Garbatella è il perimetro stabilito da Ursula von der Leyen, ormai in modalità “Kaiser” dopo che Starmer, Macron. Merz e Tusk le hanno fatto indossare l’elmetto e la mimetica, e si riassume in tre punti: dialogo, reazione e diversificazione dei mercati.
In tale “mantra” di Ursula, Giorgia Meloni può solo provare a esercitare una moral suasion sul suo amico Trump, spingendolo ad aprire una trattativa con il commissario al Commercio di Bruxelles.
Ma dopo due mesi di presidenza, è chiaro a tutti che l’America di “The Donald” non si muove seguendo una linea politica “tradizionale”, come abbiamo avuto modo di conoscere nei tempi passati: i rapporti di forza sono più rilevanti per lui rispetto alle tradizionali alleanze.
Nel loro precedente incontro a Mar-a-Lago, Trump si mostrò malleabile al limite del menefreghismo per aiutare il Governo italiano nella liberazione di Cecilia Sala dalla galera iraniana. Ma all’epoca il tycoon sei volte bancarottiere non si era ancora ufficialmente insediato alla Casa Bianca e il “costo” politico dell’operazione era, ai suoi occhi, irrilevante.
Oggi, invece, Giorgia Meloni si ritrova di fronte un Trump sordo e cieco a tutti gli appelli alla logica economica e alla ragionevolezza politica, compresi gli avvertimenti sulle conseguenze pericolose di un dazismo senza limitismo dello stesso Elon Musk (che in una settimana ha perso 30 miliardi e ora invita il King Donald a ripensarci).
Allo svalvolate Doge dei miei stivali, si aggiunge una grande fetta del “vecchio” partito repubblicano, allarmato in vista delle elezioni di midterm del 2026.
Se non ascolta i suoi più stretti consiglieri, perché Trump dovrebbe essere sensibile agli occhioni della Statista from Garbatella, perdendo la faccia con un dietrofront imbarazzante
È questo il cul-de-sac in cui si ritrova Giorgia Meloni: il suo viaggio è un terno al lotto. È molto probabile che la premier si accontenti dell’ennesimo riconoscimento (di lei Trump cinguettò che “è una magnifica leader”, “ha preso d’assalto l’Europa”), delle foto allo Studio Ovale e delle strette di mano. Un premio di consolazione per non sentirsi da meno rispetto agli altri leader, come Starmer e Macron, che ben prima di lei hanno varcato la soglia della Casa Bianca.
Trump tratterà eventualmente solo con i vertici dell’Unione europea, smentendo il suo stesso trombettiere, Salvini, che invece invoca un canale diretto Roma-Washington per ammorbidire i dazi ai prodotti italiani.
Ad aggiungere incertezza a un incontro già pieno di incognite è il totale disprezzo che Trump prova verso le consuetudini e i riti della diplomazia.
Solitamente, i faccia a faccia tra i leader vengono preparati dai rispettivi sherpa con un certosino lavoro diplomatico sui temi da discutere e sui toni da utilizzare. Dopodiché, una volta raggiunto un accordo sull’agenda, si parte e si firma sotto i flash un pezzo di carta. Con Trump, come ha dimostrato l’agguato teso a Zelensky nello Studio Ovale, è tutto inutile: è talmente imprevedibile che la situazione può degenerare in qualsiasi momento rendendo vani mesi di trattative. Buon viaggio
(da Dagoreport)
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