GIORGIA & URSULA, PIU’ VIAGGIANO INSIEME E PIU’ SI INDEBOLISCONO A VICENDA: IL RAPPORTO SPECIALE TRA LE DUE BIONDE E’ DIVENTATO SCOMODO PER VON DER LEYEN, CHE SI E’ ATTIRATA LE CRITICHE DI MEZZO PPE, DI MACRON E DEI SOCIALISTI
LA MELONI DEVE SPERARE DI NON PERDERE LA SPONDA DELLA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE (CHE NEGLI ULTIMI 10 MESI LE HA CONCESSO 7 VIAGGI INSIEME): SE SALTA IL SUO REFERENTE A BRUXELLES E PERDE ANCHE BIDEN, MAGARI SCONFITTO DA TRUMP, LE SUE “COPERTURE” INTERNAZIONALI ZOMPANO
Già stasera, a urne chiuse, Giorgia Meloni potrà capire quanto spesse sono le mura del fortino. Il risultato delle regionali in Abruzzo deciderà per lei. Dovesse andare incontro a un’inaspettata sconfitta si aprirebbe una fase nuova: nel governo, tra alleati, nel Paese. E in Europa.
Ecco, se c’è una variabile capace di stravolgere calcoli ed equilibri, è proprio il rapporto con Bruxelles. E quello con Ursula von der Leyen. Il congresso del Ppe ha indebolito la presidente della Commissione. E trasformato la mossa politica di Meloni da investimento sicuro ad azzardo.
Più viaggiano insieme, in effetti, più si indeboliscono a vicenda: è il paradosso della loro intesa. Meloni sperava di aver trovato la chiave per entrare nella cabina di comando del nuovo esecutivo continentale, von der Leyen la corteggiava per ottenere voti conservatori fondamentali per un bis. Il problema, però, si è svelato quattro giorni fa durante il summit del Partito popolare europeo in Romania: Ursula fatica a tenere uniti i popolari sul suo nome ed è uscita indebolita da quel passaggio.
Senza dimenticare i rapporti più freddi di un tempo con Emmanuel Macron. Ci sono due dettagli che rivelano l’investimento divenuto ormai azzardo. Soltanto negli ultimi dieci mesi, le due leader hanno organizzato almeno sette viaggi insieme. Di questi, cinque sono stati “concessi” dalla presidente della Commissione europea dopo esplicita richiesta della premier italiana.
L’elenco integrale fa un certo effetto: il 25 maggio 2023 a Bologna, dopo l’alluvione in Emilia Romagna; il 12 giugno 2023 a Tunisi, per gestire le partenze dei migranti; il 16 luglio 2023 di nuovo nella capitale tunisina; il 17 settembre 2023 a Lampedusa; il 17 gennaio 2024 a Forlì, di nuovo per l’alluvione; il 24 febbraio a Kiev, per il primo G7 dell’anno a guida italiana; il prossimo 17 marzo 2024 al Cairo, per discutere di Piano Mattei e crisi mediorientale. A queste date vanno aggiunti i numerosi bilaterali a Bruxelles.
Una sintonia che ha generato, come detto, non pochi dubbi nelle famiglie liberali e socialiste europee, urtate da una leader che volge continuamente lo sguardo verso destra, che è spesso sodale di quella estrema. Un fastidio acuito delle recenti aperture della premier italiana – che guida anche i Conservatori continentali (Ecr) – all’ingresso nel gruppo di Viktor Orbán ed Eric Zemmour.
Per Ursula, ogni dubbio è superato dall’aritmetica: punta agli ottanta seggi di Ecr, ma si accontenterebbe anche solo dei 25-30 di Fratelli d’Italia. Le resistenze tra i popolari, però, potrebbero rendere l’operazione vana.
E allora, Meloni dubita. Aveva cercato di aggirare il freddo con le due principali Cancellerie europee – Parigi e Berlino – intensificando la collaborazione con von der Leyen. Ma ha sbagliato strategia, temono adesso i suoi consiglieri: un conto sarebbe stato scommettere sull’agenda della “maggioranza Ursula”, che non cambierà, indipendentemente dal nome che dovrà rappresentarla alla guida della Commissione, altro puntare tutto sul nome della Presidente, che adesso traballa.
E si torna al fortino. Al senso di isolamento. Ecco perché Meloni ha scelto di alzare i toni, moltiplicare le uscite pubbliche, provare a blindare le caselle più importanti dell’esecutivo e degli apparati. Già domani, se l’Abruzzo dovesse consegnare un’altra sorpresa dopo quella sarda, intensificherebbe questo sforzo. Se le elezioni Usa dovessero toglierle anche la sponda dell’attuale amministrazione e riportare al potere Donald Trump, sarebbe un problema. Il tycoon, di solito, tende a non perdonare gli amici che tendono la mano ai suoi avversari.
(da la Repubblica)
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