GLI ITALIANI NON VOGLIONO IL PREMIERATO: PER LA PRIMA VOLTA, I SONDAGGI DANNO I CONTRARI ALLA RIFORMA VOLUTA DA GIORGIA MELONI AL 41,1%, PIÙ DEI FAVOREVOLI, CHE SONO AL 40,6%
IL PROBABILE REFERENDUM SI TRASFORMEREBBE IN UN PLEBISCITO PRO O CONTRO LA SORA GIORGIA. E IN CASO DI SCOPPOLA SOPRAVVIVERE POLITICAMENTE E’ QUASI IMPOSSIBILE, COME DIMOSTRA IL PRECEDENTE DI MATTEONZO NEL 2016
Tra i tanti sondaggi in circolazione, ce n’è uno, curiosamente silenziato, che fotografa un sentiment che, qualora si stabilizzasse, cambierebbe la politica italiana, altroché Sardegna.
Il 27 febbraio i ricercatori di Euromedia Research hanno compattato le risposte al quesito proposto il giorno prima in tutta Italia: «Lei è favorevole o contrario alla Riforma del Premierato, riforma che prevede l’elezione diretta del presidente del Consiglio?».
Hanno risposto di essere favorevoli il 40,6 per cento degli interpellati e contrari il 41,1 per cento. E’ la prima volta che un istituto rileva il sorpasso dei “No” sui “Sì”. A prima vista, un dato inatteso. Ma se durasse, avrebbe effetti dirompenti.
Perché il probabile referendum sulla riforma costituzionale voluta dal governo di centro-destra, e prevedibile a partire dalla primavera 2025, è destinato ad andare oltre il merito, trasformandosi in un plebiscito – sì o no – sulla presidente del Consiglio.
E ai plebisciti finiti male di solito non si sopravvive politicamente: come dimostra il tanto citato caso di Matteo Renzi del referendum 2016, ma dimenticando un altro appello a “più poteri”, che costrinse alla resa l’unico statista che l’Italia abbia avuto: l’Alcide De Gasperi della legge truffa del 1953.
Naturalmente è legittima l’obiezione: all'(eventuale) referendum sul premierato manca ancora tanto tempo. C’è tempo per correggere la rotta o per cambiare timing.
La riforma deve ancora essere approvata e con margini di maggioranza che potrebbero condizionare il compimento del referendum: un (complicatissimo) via libera a due terzi lo precluderebbe. Ma Giorgia Meloni si dice sicura di sé: «Sono convinta che gli italiani coglieranno l’occasione storica di accompagnare l’Italia nella Terza Repubblica». E ha già deciso: il premierato sarà una delle bandiere della campagna elettorale per le Europee.
Lo confermano in queste ore le prime votazioni in Senato: sono stati respinti tutti gli emendamenti delle opposizioni, anche quelli che non intaccavano lo spirito e la lettera della riforma, rendendola più condivisibile da tutti.
Ma il dopo-Europee è condizionato da molte incognite. Dietro il risultato del sondaggio Euromedia c’è altro, molto altro.
Anzitutto c’è l’affidabilità dei sondaggi nel prevedere l’esito dei referendum: «Quando il quesito è binario – spiega il fondatore di Swg Roberto Weber, l’unico che nel 2013 anticipò il ciclone M5S – l’attendibilità del risultato è decisamente superiore a quella, ad esempio, per i partiti».
Tanto più che quei “No” in vantaggio si spiegano anche alla luce di un dato ancora più importante. Un dato clamoroso: in sé per sé e anche per l’ignoranza che lo circonda.
Alle elezioni Politiche del 2022, i partiti del centro-destra furono votati da 12 milioni e 300 mila elettori, il 43,8%, ed essendo coalizzati, conquistarono legittimamente la maggioranza dei seggi alla Camera e al Senato. Ma esattamente quel giorno gli elettori che non votarono per i partiti di centro-destra furono 15 milioni e 300mila, pari al 56,2%. Uno stacco di 13 punti percentuali e di tre milioni di elettori: non pochi.
E nel Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, si sa come vanno certe cose: se c’è da coalizzarsi contro il governo, si forma subito la fila. Ne sa qualcosa Matteo Renzi: nel 2016, da palazzo Chigi, lanciò il referendum costituzionale e accorsero subito in tanti, anche gente che si era avversata per una vita: Ciriaco De Mita e Massimo D’Alema, Rifondazione comunista e Casa Pound. E poi una fila infinita di associazioni, alcune anche corpose. Come la Cgil.
Dunque, dal sondaggio Euromedia, dalle elezioni 2022 e dal referendum Renzi, tre “big data” che suggerirebbero prudenza al governo. Ma c’è un altro precedente che sembra polveroso e invece non è da sottovalutare perché racconta la psicologia collettiva degli italiani.
Nel 1953 Alcide De Gasperi promosse una riforma elettorale che prevedeva un cospicuo premio di maggioranza. Sembrava una passeggiata: alle Politiche del 1948, i partiti di governo avevano raggiunto il 62,4% e invece nel 1953 lo slogan della “legge truffa” fece breccia: le opposizioni – divise su tutto il resto e in piena guerra fredda – arrivarono nientedimeno che al 50,2%, facendo saltare il super-premio. Uno che c’era anche allora, Rino Formica, avverte: «Attenzione, perché gli italiani hanno sempre cercato dei leader, ma hanno rigettato i leader che hanno provato a diventare padroni».
(da la Stampa)
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