GLI STRANI BUCHI NEI CONTI CORRENTI DEL POLITICO IDV
DALLA LOMBARDIA AL LAZIO GLI SCANDALI DA RECORDMAN
Una lettura consigliata è quella della relazione che il Prefetto di Reggio Calabria ha spedito al ministero dell’Interno.
Sono 231 pagine in cui si racconta di come la mafia, attraverso la politica, si è presa la città .
Pino Plutino, assessore all’Ambiente (scrive il gip), «ha beneficiato sia delle preferenze elettorali provenienti direttamente dagli affiliati» della cosca dei Caridi sia di un sostegno costante evoluto in «alterazione della libera competizione elettorale». A Reggio Calabria – dice chi indaga, poi si vedrà – ogni boss, ogni clan, ogni quartiere aveva il suo politico di riferimento a cui consegnare chili di voti in uno strepitoso mutuo soccorso.
L’assessore lombardo Domenico Zambetti, per i medesimi motivi, si era appoggiato alla ‘ndrangheta da cui acquistò quattromila voti al prezzo di cinquanta euro l’uno, per un totale di duecentomila euro.
Gli servivano per entrare in consiglio fra trombe e tamburi, e gli riuscì, e ne ricavò un assessorato di quelli di lusso, alla Casa.
Non è che quelle preferenze gli siano costate soltanto in denaro. Ricevette minacce. Fece favori. «Lo abbiamo in pugno», dicevano i boss, i quali naturalmente puntavano alla ciccia sugosa, i lavori per l’Expo.
Scandali e scandaletti recenti sono il giro d’Italia attorno ai campioni delle preferenze, come li ha definiti Roberto De Luca, docente di Sociologia e Scienze della politica dell’Università della Calabria.
In suoi numerosi studi (pubblicati anche dal Mulino) è spiegato che le preferenze impongono una campagna elettorale permanente, un’organizzazione articolata ed efficace, la disposizione di serate e convegni e cene, e poi volantini e comparsate in tivù e sui giornali. Roba costosa.
I casi del Lazio spiegano perfettamente come crescano i costi della politica (oltre a una naturale voracità umana).
Franco Fiorito, il consigliere ciociaro del Pdl, era stato eletto con quasi 30 mila voti di preferenza, e dalle sue parti ricordano una campagna elettorale sfarzosa, muri tappezzati, camion coi manifesti, orchestrine.
Un caravanserraglio che Fiorito ha dovuto mantenere anche dopo essere stato eletto, sennò si rischia l’oblìo e uno più furbo, o più briccone, si piglia il banco.
Vale per Samuele Piccolo, il ragazzo d’oro del Pdl che nel 2008, a 27 anni, entrò nel consiglio comunale di Roma col record di preferenze: 12 mila.
Pochi mesi fa è stato arrestato con l’accusa di aver costituito una associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale.
I denari che ne ricavava servivano (sempre parola di chi indaga) per noleggiare le sale dei ristoranti, per stipendiare i ragazzi del call center a disposizione della sua struttura o per i santini.
Non è un’equazione: nel 2010 Maurizio Cevenini a Bologna raccolse più preferenze di Silvio Berlusconi e in percentuale fu il più votato d’Italia, ed era un galantuomo. Però anche Vincenzo Maruccio, il consigliere laziale dell’Idv accusato di essersi messo in tasca quasi 800 mila euro, si insediò alla Pisana (da esordiente, perchè aveva fatto un giro da assessore nella giunta Marrazzo, e arrivava dal nulla, se non dalla devozione a Tonino Di Pietro) con ottomila preferenze, primo degli eletti nel suo partito.
Che la questione sia complicata lo ha detto anche un’autorità come Alfredo Vito, che nella Prima repubblica era chiamato “mister centomila preferenze”, sebbene a Napoli arrivasse anche a 150 mila.
Le preferenze furono abolite proprio per le distorsioni che provocavano, «ma adesso è peggio», ha detto Vito a febbraio al Mattino.
«Oggi la malavita ha rapporti organici coi partiti, e il rischio è che il voto sia filtrato dai clan».
Mattia Feltri
(da “La Stampa”)
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