GOVERNO MONTI BOCCIATO IN AMBIENTE: “FARE MENO PEGGIO DI SILVIO NON BASTA”
DA ECOLOGISTI E STUDIOSI EMERGE UN BILANCIO NEGATIVO SULL’AZIONE DEL GOVERNO TECNICO: “TROPPI TAGLI, MANCA IL CORAGGIO DI VOLTARE PAGINA”… CRITICHE SULLE TRIVELLAZIONI
Il 16 novembre scorso, quando si insidiò il governo Monti, fece un certo effetto sentire ben due membri del nuovo esecutivo pronunciare la parola “sostenibilità ” nelle loro prime dichiarazioni programmatiche.
Reduci da tre anni di Berlusconi a Palazzo Chigi, con le sue tentazioni negazioniste sui cambiamenti climatici e le sue ambizioni nucleari, quelle affermazioni dei ministri Corrado Passera e Corrado Clini, nel clima di generale euforia per una brutta pagina che veniva finalmente girata, destarono forti speranze di un nuovo inizio.
Ottimismo rafforzato tra l’altro dal fatto che nel drastico taglio del numero dei dicasteri, tra quelli confermati c’era proprio quello dell’Ambiente.
Oggi, a distanza di un anno, cosa resta di quelle speranze?
Ben poco a sentire ambientalisti e addetti ai lavori.
Il sentimento prevalente è quello di delusione e il fatto di essere “meno peggio” di Berlusconi è un merito che si va facendo sempre più stretto.
Tanto che nell’opinione del Wwf finisce per diventare un aggravante più che un attenuante.
“Dal 2008 ad oggi abbiamo assistito ad un drastico taglio degli stanziamenti a favore del ministero dell’Ambiente e delle politiche ambientali: siamo passati da 1,6 miliardi agli attuali 450 milioni 1”, ricorda Stefano Lenzi, responsabile dell’Ufficio relazioni istituzionali del Panda.
“Con Monti non c’è stata nessuna inversione di tendenza nel relegare l’ambiente a un ruolo di marginalità . Al contrario sono lievitati gli stanziamenti per le infrastrutture strategiche, visti i continui rincari di tutte le opere previste, fino alla cifra record del +800% toccato dal II lotto del valico dei Giovi. Ma se questo poteva essere scontato in un governo che faceva dell’improvvisazione la sua cifra – conclude Lenzi – in un governo di tecnici diventa inquietante”.
Alla scelta di chiudere i rubinetti dei finanziamenti in maniera ancor più drastica che per altri settori di spesa hanno corrisposto del resto scelte in materia energetica che risultano quanto mai indigeste.
Molto simile la sostanziale bocciatura che arriva da Greenpeace. “Se il governo Berlusconi era dichiaratamente antiambientalista, con una maggioranza che votava mozioni negazioniste sul clima e contro lo sviluppo del solare, Monti ci ha riportato in un ambito di civiltà europea, con un ministro dell’Ambiente che cerca almeno di fare la sua parte, e questo non è poco”, commenta il direttore Giuseppe Onufrio.
“Ma – avverte – è ancora del tutto insufficiente per affrontare alcune delle sfide che abbiamo davanti: sull’energia si è dato un colpo di freno eccessivo alle fonti rinnovabili (settore dichiarato a parole strategico) e si è disegnata una Strategia energetica nazionale 4 di corto respiro che dà il via libera alle trivelle a mare, mantiene la produzione a carbone e non è credibile sulle rinnovabili”.
E l’industria cosa ne pensa?
Il giudizio nei confronti dell’esecutivo tecnico dell’Aper, l’associazione che riunisce le aziende del settore, ricalca il solito schema: sollievo per aver posto fine ad una situazione anomala, ma delusione nel merito delle azioni intraprese.
“Il governo Monti ha senza dubbio avuto il merito di porre fine ad un lungo periodo di incertezza normativa che caratterizzava il settore, ma come Aper, principale associazione italiana di produttori di energia da fonte rinnovabile, dobbiamo purtroppo riscontrare che non si è provveduto alle necessarie semplificazioni normative che ci avrebbero potuto rendere più vicini agli standard europei”, afferma il presidente, Agostino Re Rebaudengo.
“Al contrario – sottolinea – sono state introdotte nuove barriere (registri, aste, plafond, sbilanciamenti) che sono tra l’altro in contraddizione con gli obiettivi di crescita definiti nella, da poco pubblicata, Strategia energetica nazionale”.
Visto da fuori dell’arena politica e imprenditoriale e valutato con gli occhi dello studioso, il bilancio su un anno di governo Monti in materia ambientale ed energetica non cambia poi molto.
“I decreti sugli incentivi alle fonti termiche, centrali per gli obiettivi europei 2020 sono ancora in gestazione, la Sen ha visto la luce in una forma piuttosto esile e poco incisiva, inoltre dal mio punto di vista, non si è lavorato sui temi dell’effettiva liberalizzazione dei mercati”, sostiene Arturo Lorenzoni, direttore di Ricerca presso l’Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente della Bocconi.
“E’ vero – ammette il docente – che è un esecutivo a termine, che sembra dover gestire solo l’emergenza, ma il settore dell’energia ha bisogno di competenze più forti, di segnali più chiari, meno nel segno della continuità con il passato per poter avviare un reale rinnovamento. Sono scelte politiche, certo, e forse non c’era li mandato, ma questo non può evitare un po’ di delusione in chi sperava in una maggior capacità di interlocuzione sui temi tecnici rispetto al passato. A me sarebbe piaciuto vedere una linea diversa, più capace di interpretare i cambiamenti profondi che sta vivendo il mondo dell’energia”.
“In materia di clima e energia, era difficile fare peggio di quanto fatto dal governo precedente”, spiega Stefano Caserini, curatore del sito Climalteranti.it, uno dei più auterevoli osservatori sul riscaldamento globale.
“Alcuni passi – ricorda – si sono visti (l’avvio dei lavori per una Strategia nazionale di adattamento, la proposta di una Strategia energetica nazionale), ma nel complesso è mancato il coraggio di voltare pagina e dare importanza alle politiche ambientali e climatiche: l’azione è stata nel complesso insufficiente”.
Valerio Gualerzi
(da “La Repubblica”)
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