GRILLO È PIÙ EUROCONFUSO CHE EUROSCETTICO
PUBBLICA UN VECCHIO PROGRAMMA PER LE EUROPEE E AZZERA MESI DI DIBATTITO NEL MOVIMENTO PER UN REFERENDUM INCOSTITUZIONALE
Tre convegni alla Camera con economisti — in genere di buon curriculum — sull’euro, mesi di discussioni tra i militanti, i gruppi parlamentari in gran parte orientati a una scelta netta contro la moneta unica, una posizione di vantaggio in un mercato elettorale (quello, all’ingrosso, euroscettico) in cui il Movimento 5 Stelle si era posizionato per primo e con più credibilità visto che, per non fare che un esempio, non ha firmato il Fiscal Compact come fece l’oggi antieuropeista Silvio Berlusconi.
Tutto questo, però, è finito venerdì, quando Beppe Grillo ha pubblicato i suoi sette punti programmatici (ne aveva già parlato anche all’ultimo V Day) per le prossime Europee.
Roba vecchia, se è lecito, nel senso che sono in parte suggestioni che arrivano dalla fase embrionale del Movimento 5 Stelle e, per così dire, euroconfuse più che euroscettiche.
Si prenda, ad esempio, il referendum sull’euro, che dovrebbe seguire un anno di dibattito: bizzarro che una forza politica proponga da anni una consultazione sulla moneta unica e ancora non abbia trovato modo di far sapere ai cittadini qual è la sua posizione.
Per di più i referendum su trattati internazionali — come quello che istituì l’euro — sono incostituzionali a norma dell’articolo 75 della Carta.
E, infine, se Grillo e il cofondatore del Movimento Gianroberto Casaleggio avessero seguito i convegni organizzati dai loro “portavoce” a Roma, avrebbero saputo che per tutti gli esperti il solo fatto di annunciare un referendum del genere avrebbe come conseguenza una immediata fuga dei capitali dall’Italia con relativa dissoluzione del sistema bancario.
Altri punti — come l’abolizione del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio o l’adozione degli eurobond — sono al momento pie intenzioni, visto che manca il contesto politico in cui portarle avanti (tradotto: la Germania non vuole), ma servono a lanciare un segnale a quella bella fetta di elettorato del M5S che guarda con favore all’euroexit o che comunque è assai scontenta del funzionamento dell’Unione.
La cosa più rilevante, però, è quel che questa uscita segnala sulla natura ancora spuria del Movimento, diviso tra iperdemocrazia online e una incomprimibile natura verticistica.
Il risultato è una enorme confusione.
Su natura e problemi dell’euro — cioè la partita fondamentale del futuro prossimo — lo stesso Beppe Grillo, o meglio il suo blog, ha avuto un atteggiamento oscillante: a volte l’abbandono della moneta unica è stato dipinto come una catastrofe, altre come inevitabile e necessario per l’Italia.
Gli eletti e i militanti del M5S, però, specialmente quelli che si occupano di macroeconomia, non sono così ballerini e propendono largamente per l’addio all’euro: il sito “Economia 5 Stelle”, per dire, si apre proprio con un manifestino “No euro” .
Quel sito, si potrebbe obiettare, non è ufficiale. E, infatti, l’unica voce ufficiale è quella che arriva dal blog di Beppe Grillo e a “portavoce” e cittadini sparsi non resta che auscultare gli umori della casa-base o aspettare direttive.
Di più, sono caldamente invitati a non occuparsi di questioni che non li riguardano: lo stesso Casaleggio lo ha chiarito agli eletti in Parlamento durante due visite a Roma, l’ultima in occasione dei saluti per Natale proprio dopo i convegni dedicati alla della moneta unica. Decide la rete, cioè lui.
La scelta di organizzare la campagna per le europee attorno ai sette punti ha, infine, sedato anche alcuni rumors interni al Movimento: “Pare che pure Casaleggio si sia convinto che dobbiamo uscire dall’euro”, si diceva a Roma.
Ora è chiaro che non è così eppure resiste un ultimo paradosso: pur non avendo ancora preso una posizione netta sul tema, Grillo è considerato da tutti il campione italiano degli antieuro.
L’ultimo numero di The Economist, ad esempio, inserisce il M5S tra gli “Europe’s Tea Parties”, i partiti che distruggeranno Strasburgo dopo le prossime europee. L’euroconfusione regna anche a Londra.
Marco Palombi
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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