GUERRA DI MILIZIE A SABRATHA: GLI AMICHETTI DI MINNITI LITIGANO TRA LORO E RIPARTE IL TRAFFICO DI ESSERI UMANI
LA ZONA RESTA IN MANO AI TRAFFICANTI TRA SCONTRI DI GRUPPI RIVALI E CONNIVENZE DEL GOVERNO LIBICO… “L’ITALIA DEVE PAGARE ANCHE NOI”
Sabratha, città nella parte occidentale della Libia a 70 chilometri da Tripoli, uno dei punti di snodo delle partenze dei migranti per il Mediterraneo, nell’ultima settimana è diventata di nuovo teatro di guerra.
La causa scatenante, quattro giorni fa è stato il passaggio di un veicolo con i vetri oscurati vicino al quartier generale dell’Operation Room anti Isis, la forza militare che contrasta la presenza di fondamentalisti in Libia. Il veicolo appartentente alla milizia Anas Dabashi, non si sarebbe fermato al check point, provocando uno scontro a fuoco tra i militari dell’operation room e la potentissima milizia, che controlla il traffico di uomini della zona e anche il traffico di carburante.
L’operation room anti Isis, creata dopo il raid americano del 2016 sulle posizioni di Isis a Sabratha, è il centro operativo contro la presenza di Isis il Libia, a Sabratha agisce sotto il comando del colonnello Abduljalil, ed è una forza militare composta non da milizie, ma da soldati che hanno ottenuto autorizzazioni direttamente dal governo presieduto da Fayez al Sarraj.
Inoltre gode dell’appoggio formale della brigata Al Wadi, una brigata salafita che ha sostenuto l’azione militare per liberare Sabratha dalla presenza di cellule dell’Isis. Presenza, che come ha sottolineato anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, è stata facilitata dalla stessa milizia Dabashi.
La presenza dei militari dell’Operation Room contro Isis ha irritato rapidamente le grandi famiglie influenti della zona, prima di tutti il clan Dabashi, che hanno visto nella presenza dei soldati una minaccia ai loro traffici.
I militari sostenuti da Sarraj hanno, infatti, cominciato a controllare e presidiare un tratto della strada che porta a Tunisi, attraverso Ras Ajdir, snodo nevralgico del contrabbando.
I militari hanno arrestato trafficanti alla guida di camion pieni di migranti, e cominciato a controllare costantemente l’autostrada costiera. Al Ammu, leader indiscusso della brigata Dabashi, che di fatto ha il controllo territoriale di mezza Sabratha, è corso ai ripari e fonti locali sostengono che per ostacolare il lavoro dell’operazione anti Isis, abbia dato ordine alla sua milizia di rapire alcuni militari dell’operation room, in cambio dell’abbandono delle zone presidiate.
Durante il primo giorno di scontri, la scorsa settimana, sono morti due miliziani, identificati come Abubaker al Dabbashi e Sami Jamjoum, del clan Dabashi.
“I combattimenti che ci sono in città — dice una fonte locale che per ragioni di sicurezza preferisce parlare sotto anonimato — sono solo l’inizio di una guerra che stavamo aspettando. Che potevamo tutti prevedere. Ci sono mille rivalità che si sovrappongono, innanzitutto la presenza dei militari, ma ora ci sono anche le milizie tagliate fuori dagli accordi con gli italiani che chiedono la loro parte.”
La fonte sostiene che l’attacco al check point di fronte al quartier generale fosse in realtà non un evento casuale ma una provocazione preparata dal giorno prima, perchè Al Ammu, leader del clan Dabashi, avrebbe chiesto due giorni prima ai suoi uomini di attrezzare mezzi e armi pesanti.
Dopo quattro giorni di scontri, le alleanze che dividono Sabratha, vedono da una parte il clan Dabashi e la brigata 48, dall’altra l’Operation room e la brigata Al Wadi.
La brigata 48 è uno degli attori centrali delle ultime settimane di politica e diplomazia più o meno ufficiale in Libia.
Creata alla fine del 2016, quando il governo centrale di Sarraj ha deciso di creare unità specializzate nel contrabbando di petrolio.
Il Ministero della Difesa libico — come riportato dal giornalista Tom Feneoux – ha firmato l’accordo per la creazione della brigata 48 alla fine di gennaio di quest’anno, a cavallo della firma del Memorandum di intesa tra l’Italia e la Libia.
Il compito iniziale era proteggere le stazioni di servizio dai contrabbandieri e proteggere la sicurezza della città . Ma la longa manus dei Dabashi controlla di fatto anche la Brigata 48: “La brigata 48 è una milizia di militari corrotti — continua la fonte libica — i Dabashi ci sono dentro dall’inizio, con lo zio di Al Ammu, Hussein Dabashi. Hanno creato la milizia proprio per controllare la città e proteggere Ammu e i suoi affari, sapendo che stava per iniziare una fase politica di lotta al contrabbando. Il fratello di Ammu, Emhedem, comanda la brigata e protegge i traffici del clan. Si sono accreditati con il governo per ricevere un incarico formale, ma di fatto continuano a proteggere non la sicurezza di Sabratha, ma gli affari di famiglia. Hanno solo cambiato uniformi, ma sono sempre loro che hanno in mano la zona. Prima partecipavano ai traffici, ora fingono di combatterli.”
Secondo la fonte locale, anche la Brigata 48 avrebbe ottenuto uffici all’interno del compound di Mellitah , e parteciperebbe alla protezione delle strade circostanti.
“I Dabashi hanno pensato che ottenere un accordo economico con gli italiani fosse vantaggioso anche per far capire loro che i Dabashi sono gli unici interlocutori possibili per garantire la protezione della città e la sicurezza, gli unici in grado di bloccare il traffico di uomini. Ma così non è stato, non avevano considerato che le milizie non coinvolte nell’accordo si sarebbero ribellate. Ce lo aspettavamo tutti, ed è accaduto” continua la fonte.
Proprio nella settimana degli scontri a Sabratha infatti sono ricominciate le partenze dei gommini carichi di migranti, più di mille sono stati recuperati dalla guardia costiera libica e più di cinquemila sono stati salvati dai mezzi di soccorso nel Mediterraneo.
Fonti locali libiche sostengono che la milizia Elgul — che controlla il centro della città di Sabratha — abbia organizzato le partenze di almeno otto gommoni, proprio nelle ore in cui il clan Dabashi combatteva contro i soldati dell’operation room, per dare un segnale forte: il capo clan Esam Elgul si è detto molto scontento degli accordi raggiunti tra l’intelligence italiana e il clan Dabashi, che avrebbe ricevuto non solo cinque milioni di euro ma anche la possibilità di avere un ufficio nel compound di Mellitah, il branch libico dell’Eni (la milizia già controlla dal 2015 la strada limitrofa, per un accordo raggiunto allora proprio con Mellitah Oil&Gas).
“Riorganizzare le partenze — conitnua la fonte – significa dare un segnale non solo ai Dabashi, ma anche alla doplomazia italiana. E’ come dire: qui comandano i trafficanti e i patti bisogna farli con tutti altrimenti ci riprendiamo il controllo delle partenze, con le buone o con le cattive. I trafficanti prima guadagnavano dieci volte tanto, se non ottengono un ‘risarcimento’ cominceranno a far partire migliaia di migranti che ora sono ancora nascosti nei capannoni.”
Tra le fila degli scontenti c’è anche il ‘dottore’ di Sabratha, Mussad Abugrin — uomo d’affari libico che gestisce il traffico di migranti dal Sudan — una fonte italiana sostiene che la trattativa tra Abugrin e l’intelligence italiana non sia andata a buon fine, questo è uno dei motivi per cui uno dei suoi uomini più fidati, noto come Hatem Il Polo, ha cominciato a riorganizzare barconi di migranti dalle coste della città . L’insoddisfazione non tocca però solo gli ambienti diplomatici informali, ma anche quelli formali.
Pochi giorni fa, infatti, il consiglio militare di Sabratha ha condannato l’invito ad Haftar da parte del governo italiano, invito avvenuto cinque giorni dopo che il sindaco di Sabratha Hussein al Dawadi ha incontrato l’ambasciatore italiano il Libia Perrone. Il consiglio Militare, in una dichiarazione ufficiale denuncia l’invito e invita tutti i paesi a “fermare tutte le iniziative che danno legittimità a coloro che perseguono azioni militari per guadagni politici, esprimendo apprezzamento alle autorità italiane per il loro sostegno alle istituzioni sanitarie a Sabratha, ma con riserva per i sospetti accordi ufficiosi dei servizi italiani con milizie locali”.
Dopo quattro giorni di battaglia, le milizie hanno posizionato i propri cecchini sugli edifici e i carri armati nelle strade, la Libyan Red Crescent ha dichiarato che è impossibilitata a salvare i civili intrappolati nei quartieri dove si combatte e fonti locali sostengono che i miliziani stiano uccidendo indiscriminatamente gruppi di migranti. Un gruppo di ragazzi marocchini ha provato a contattare le organizzazioni umanitarie locali e internazionali, ma nessuno — dopo quattro giorni — riesce ad evacuarli.
Hanno scritto di essere in Libia da tre mesi e di non essere ancora riusciti a partire, i trafficanti li hanno derubati di tutto ciò che avevano e picchiati ripetutamente. Ora, sono intrappolati in una abitazione tra il fuoco incrociato dei combattimenti.
La soluzione degli scontri di Sabratha è l’anticamera di quello che può accadere a livello nazionale, a oggi i militari dell’operation room avrebbero chiesto l’aiuto alle milizie di Zintan. Che equivale a dire chiederlo al generale Khalifa Haftar.
Dall’altra parte i gruppi armati di Zawhia, la milizia al Farouq e Kilani, stanno sostenendo il clan Dabbashi. In mezzo c’è la diplomazia europea, gli accordi italiani, e gli accordi paralleli.
In una zona, quella più occidentale della Libia, che è terra di nessuno, o meglio è ancora terra dei trafficanti.
(da “L’Espresso”)
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