I FAN DI BERSANI MINACCIANO LE URNE: “SE SALTA PIERLUIGI SI VOTA A GIUGNO”
SEMPRE SCONTRO TRA I DEMOCRATICI, IL PIANO B FA NUOVI PROSELITI
Le elezioni a giugno possono diventare la miccia che fa esplodere il Pd.
«Il punto è sempre quello», dicono a Largo del Nazareno.
Dal 26 febbraio, in fondo, la situazione non è cambiata. Ma sono cambiate le forze in campo.
Perchè il “partito” del no al voto sta crescendo e tiene dentro un fronte trasversale con Veltroni, Franceschini, Letta, D’Alema e Renzi che ha anche il suo piano B: tornare alle urne e conquistare la candidatura a Palazzo Chigi senza grandi avversari.
Il braccio di ferro interno sembra però inevitabile. Perchè i giovani turchi sono fermi da settimane: «O Bersani ce la fa o si dà di nuovo la parola ai cittadini».
Anche i bersaniani non vedono alternative: «Governicchi con il Pdl non esistono. E se esistono, quanto durano? Sei mesi, otto mesi? Quello sì sarebbe perdere tempo. Ci va di mezzo il Paese».
L’eco di questo bivio cruciale si avvertirà già domani nella riunione dei gruppi parlamentari.
Dario Franceschini ha tracciato la strada: se fallisce il “governo del cambiamento” guidato da Bersani, non si può andare a votare subito.
Serve comunque un esecutivo di transizione che faccia la riforma elettorale cancellando il Porcellum e affronti l’emergenza sociale.
Fino a qualche giorno fa, questa era anche la posizione del sindaco di Firenze. Poi, la rotta è stata modificata.
Renzi non sa se può permettersi di aspettare troppo “il suo momento”.
Vede i tentativi che si consumano a Roma per fermarne la corsa o rallentarla con lo stesso obiettivo finale: logorarlo.
Per questo ha rotto gli indugi chiedendo una scelta secca al segretario: o governissimo o voto. L’alternativa di un accordo con il Pdl continua a non dispiacergli.
«Quello che io voglio evitare a tutti i costi è apparire un leader cooptato dal gruppo dirigente », ripete a tutti quelli che lo consultano. E non sono pochi, anche tra i dirigenti più vicini a Bersani. Dunque, la sua strada passa per primarie vere, aperte, non fatte in fretta e furia, davvero competitive, che non lascino il sospetto di un risultato già scritto grazie a un apparato convertito sulla via di Damasco.
Franceschini chiama Renzi sempre più spesso, i lettiani hanno un filo diretto, persino D’Alema ne sonda gli umori attraverso alcuni “ambasciatori” autorizzati che scambiano due chiacchiere con il sindaco davanti a un caffè a Firenze o nell’albergo romano dove dorme quando viene nella Capitale.
Questa diplomazia è un’arma in più per il primo cittadino, che nelle primarie precedenti scontò anche la sua distanza dal partito.
Gli danno la sicurezza di poter vincere la battaglia interna senza problemi.
“Adesso” resta il suo slogan anche nel passaggio delle prossime settimane, quelle in cui si decide il destino della legislatura. Ma anche le ragioni del “no al voto subito” possono diventare le sue. Si tiene aperte le due vie d’uscita.
Bersani è concentrato sulla partita del Quirinale, che giovedì o venerdì giocherà guardando negli occhi Silvio Berlusconi in un vertice atteso.
Eppure a Largo del Nazareno guardano al dopo voto sul capo dello Stato.
«Le elezioni a giugno sono un’opzione», dicono.
Il leader dei Giovani Turchi Matteo Orfini non ha dubbi: «Sapevamo fin dall’inizio che si sarebbe tornati al punto di partenza. Noi non molliamo».
Perciò la corrente di Orfini e Fassina avverte «tutti quelli che stanno cercando di attuare una tattica più morbida verso il centrodestra».
Se Bersani fallisce, si deve riunire la direzione e ci si conta sulle elezioni anticipate ». In quest’ottica, appare come una coincidenza singolare la manifestazione contro la povertà convocata dal Pd a Roma per sabato.
Lo stesso giorno in cui Berlusconi sarà a Bari per un appuntamento che molti considerano ambiva-lente: o l’inizio della campagna elettorale o un semplice comizio. Dipende da come andrà il colloquio con Bersani.
È una lettura che vale anche per l’iniziativa dei democratici?
Il ritorno alle urne era una posizione largamente maggioritaria nel Pd fino a dieci giorni fa. Oggi molto meno.
Una posizione che rischia di uscire sconfitta nella “conta” sia in direzione sia nei gruppi parlamentari.
Basta leggere attentamente anche le parole di Nichi Vendola. Che difende il tentativo Bersani, non vede altri governi all’orizzonte, rifiuta qualsiasi intesa con Berlusconi. Ma dice che le elezioni subito «sarebbero una follia» e che la «gente inseguirebbe coi forconi i politici se non ci fosse un governo».
Una linea che la presidente della Camera Laura Boldrini ha subito sposato.
Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica”)
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