I GESTORI DEGLI STABILIMENTI SI LAGNANO PERCHE’, ENTRO L’ESTATE, DEVONO DOTARSI DI DOCCE CON L’ACQUA POTABILE, COME PREVISTO DALLA LEGGE
PARTE LA LAGNA: “LA STAGIONE È IN PERICOLO, ALLACCIARSI ALL’ACQUEDOTTO IN MOLTI CASI PUÒ ESSERE COMPLICATO E COSTOSO”… LA “CASTA” DELLE SPIAGGE CHIEDE UN NUOVO AIUTO AL GOVERNO MELONI, DOPO LA MELINA SULLA BOLKESTEIN
Dal Nord al Sud non c’è pace per i balneari. Inconsapevoli di cosa accadrà loro nell’immediato futuro con la riassegnazione delle concessioni, sono impegnati ora in una corsa contro il tempo per dotarsi entro l’estate di docce con l’acqua potabile.
Già, perché molti stabilimenti attingono alle falde acquifere tramite pozzi, e non a reti idriche certificate, per permettere ai propri bagnanti di lavarsi dopo una nuotata come invece obbliga ora il recente decreto legislativo (precisamente quello numero 18 del 2023) che ha aggiornato la disciplina sulle acque potabili.
Il provvedimento ha abrogato il decreto 31/2001 imponendo nuove regole precise per tutelare la sicurezza e la salute dei bagnanti: in sintesi l’acqua che viene a contatto con l’uomo, in qualsiasi forma, deve essere come da definizione «destinata al consumo umano». Quindi acqua “potabile” per docce in riva al mare ma anche nelle piscine. Obblighi chiari per i balneari che rischiano di mettere in crisi la stagione estiva.
In Italia oggi si contano 7.173 stabilimenti balneari. L’Emilia-Romagna è la regione con il maggiore numero (1.063), seguita da Toscana (914) e Liguria (807). «Il problema – spiega Confesercenti – potrebbe essere l’impossibilità per tutti gli stabilimenti balneari di installare per la prossima stagione le tradizionali docce a ridosso della battigia a meno che non siano collegate alla rete idrica ma, in questo caso, la conseguenza sarebbe un utilizzo eccessivo dell’acqua in estate e quindi potenziali rischi di approvvigionamento».
Peraltro, gli imprenditori non accettano di buon grado l’idea di sostenere importanti investimenti proprio ora che le concessioni sono scadute e con la vicenda Bolkestein tutt’altro che risolta senza una legge nazionale che regoli gli eventuali bandi. La situazione più critica è in Toscana ma non va meglio in Calabria e in Sicilia, destinazioni di mare più amate dagli italiani, e non solo. In Lazio in molti ancora dovranno adeguarsi.
In Toscana le Asl hanno cominciato a sollecitare i balneari ad adeguarsi entro l’estate. Non tutte lo hanno fatto, contribuendo ad alimentare confusione e polemiche perché il tempo stringe ed allacciarsi all’acquedotto prima dell’inizio della stagione estiva potrebbe essere impossibile. «Qui quasi tutti gli stabilimenti usano l’acqua del pozzo – spiega Carlo Ricci, coordinatore regionale di Confartigianato balneari – Allacciarsi all’impianto di acqua potabile comporta lavori complessi e a Pasqua parte la stagione». Ricci mette in guardia, poi, da un possibile «problema igienico-sanitario, perché nei paesi che ospitano 50-60 stabilimenti, il rischio è che, con tutta l’acqua convogliata in spiaggia, non ce ne sia abbastanza nelle cucine, per lavarsi le mani in casa».
«L’ideale – propone – è prorogare di un anno la norma, eseguire nel frattempo le analisi sulle acque e fare le opportune verifiche tecniche sugli eventuali allacciamenti». Scoccia, poi, investire quattrini in un impianto di cui ne usufruirà, magari, un nuovo gestore l’anno prossimo dopo le probabili aste. Gli enti pubblici, dal canto loro, non aiutano a rasserenare gli animi. Ciascuna Asl toscana sta interpretando il decreto in maniera difforme.
Risultato? L’adeguamento entro l’estate non è richiesto a tutti. Altro mal di pancia. La situazione non va meglio in Calabria e Sicilia, dove l’acqua delle docce non è ufficialmente potabile, seppure sia trattata e analizzata. In Calabria c’è chi ha i pozzi con pompe autorizzate e le acque vengono periodicamente analizzate dalle Asl. Per di più, alcuni Comuni alle prese con la siccità hanno vietato l’utilizzo dell’acqua potabile per le docce, come spiega il presidente del Sib Calabria Antonio Giannotti.
C’è poi la questione dei costi. «Nell’ultimo anno quello dell’acqua è schizzato, tanto che abbiamo dovuto installare limitatori e gettoniere», spiega il balneare. Ciò che rileva sulla questione è la mancanza di chiarezza: «Come spesso capita in Italia, e in questo caso nelle Regioni, non c’è una direttiva unica. Dovrebbe essere la Regione, a cui fanno capo le Asl, a fare chiarezza, altrimenti ci troveremo con ciascuna Asl che recepisce la legge in modo diverso».
Pioniera in materia è l’Emilia-Romagna. La capitale del turismo balneare, Rimini, fa sgorgare l’acqua potabile dalle docce già da 50 anni. Situazione analoga nelle Marche. «Qua non hanno mai dato la possibilità di fare pozzi. Ho uno stabilimento da 30 anni – spiega Mauro Mandolini, presidente Confartigianato imprese demaniali Marche – e già allora usavamo l’acqua dell’acquedotto».
(da agenzie)
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