I MAGISTRATI ATTACCANO IL GOVERNO: “FUORI STALKER E RAPINATORI”
CON IL DECRETO DEL 26 GIUGNO “LIBERI SOGGETTI SOCIALMENTE PERICOLOSI”
Un indulto mascherato? I magistrati cominciano a pensare di sì.
Nell’ultimo decreto del 26 giugno si legge: «Non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all’esito del giudizio, la pena detentiva da eseguire non sarà superiore a tre anni».
Va spiegata, questa novità : dato che fino a tre anni di pena il condannato ha diritto ad andare ai domiciliari, non avrebbe senso un’anticipazione di pena (e in cella) attraverso la custodia cautelare.
Ma un meccanismo così garantista non convince i magistrati: con quel limite dei tre anni, tanti reati – dallo stalking ai maltrattamenti in famiglia, persino alla rapina semplice – di fatto non portano più in carcere.
Ai domiciliari, al limite. Sperando che almeno l’arrestato ce l’abbia, un domicilio
Da notare che il provvedimento vale anche per gli arresti in flagranza di reato.
E così si vedono le prime scarcerazioni obbligate.
A Torino, ieri, la procura ha dovuto dare parere favorevole alla scarcerazione (con eventuali arresti domiciliari, tutti da verificare) di un immigrato marocchino al quale erano appena stati inflitti tre anni di reclusione per rapina.
A Milano, sempre ieri, i magistrati hanno incontrato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, per parlare del decreto.
Da un paio di giorni, infatti, i presidenti delle sezioni penali stanno facendo i conti di quante saranno le persone che, senza un luogo dove poter essere poste ai domiciliari, dovranno essere rimesse in libertà .
«Questa norma – spiega scandalizzato Fabio Roia, presidente della sezione misure di prevenzione – impone ai giudici di non applicare la custodia cautelare in carcere a soggetti che sono socialmente pericolosi, anche se riportano condanne per reati meno gravi, ma che interessano la criminalità di strada. Inoltre segna un particolare punto di arresto nella tutela delle donne vittime di violenze. Tutto ciò pone problemi per la sicurezza dei cittadini».
Il ministro Orlando non nasconde che il decreto è un male minore.
Ma precisa: «Il governo ha corretto una norma approvata dal Parlamento».
A chi considera troppo garantista il decreto, infatti, Orlando spiega che appena divenuto ministro ha scoperto con meraviglia che certi articoli della legge sulla custodia cautelare, approvati da Camera e Senato, erano addirittura ultragarantisti.
E siccome erano stati votati erano ormai immodificabili.
A leggere il testo del Parlamento, infatti, «si stabiliva il divieto di qualunque misura cautelare detentiva nel caso della previsione di una pena non superiore a tre anni». Nè in carcere, e neppure ai domiciliari.
Questo dunque il senso del decreto del 26 giugno: una correzione in corsa quando ormai la frittata era fatta.
Cinclusioni del ministro: «Il testo introdotto, che prevede la possibilità di applicare gli arresti domiciliari, nella direzione di garantire una maggior sicurezza dei cittadini, consentirà comunque al Parlamento di intervenire».
Francesco Grignetti
(da “La Stampa”)
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