I MINISTRI DEL GRANDE GELO: TRENTA E SALVINI NON SI PARLANO E NON SI STRINGONO LA MANO
ALLA CERIMONIA DELLA POLIZIA PENITENZIARIA SOLO DI MAIO RIVOLGE LA PAROLA AL MINISTRO DEGLI INTERNI
Il grande gelo fra Matteo Salvini e Elisabetta Trenta inizia al mattino e non si interrompe neppure a tarda sera quando, in occasione della cerimonia per il 202 esimo anniversario della Fondazione del Corpo di Polizia penitenziaria, il vicepremier si ritrova faccia a faccia con la sua collega di governo che, stamane dalle colonne del Corriere della Sera, ha aperto un vero e proprio scontro in merito alla operazione Sophia. Che secondo il parere della ministra, Salvini avrebbe interrotto inspiegabilmente provocando così il nuovo arrivo di migranti.
I due non solo non si parlano, ma nemmeno si scambiano un saluto di cortesia. Succede tutto attorno alle 18 e 25 a piazza del Popolo.
La cerimonia è avviata da qualche minuto. In tribuna autorità siedono già David Ermini, vicepresidente del Consiglio Superiore della magistratura, Elisabetta Trenta di blu vestita con gli occhiali scuri per proteggersi non solo dai raggi di sole ma forse anche dalla rabbia delle ultime ore.
Alla sinistra della Trenta c’è Luigi Di Maio in abito blu d’ordinanza che pochi minuti prima sembra averle sussurrato: “Ci sentiamo dopo”. Alla sua destra invece c’è Riccardo Fraccaro. Assente Matteo Salvini.
È in forte ritardo il ministro dell’Interno che alle 17 ha riunito il Comitato nazionale ordine e sicurezza. Ecco, alle 18 e 25 succede qualcosa di strano.
“Il presidente del Consiglio dei ministri giunge sul luogo della cerimonia”, si sente dagli altoparlanti. Attimi di silenzio. Il sistema di sicurezza prepara l’arrivo dell’inquilino di palazzo Chigi. E invece no, trattasi di un falso allarme. Ironia della sorte si materializza Salvini. In giacca scura, camicia bianca e rigorosamente scravattato, il ministro dell’Interno viene accolto in pompa magna.
Si avvicina baldanzoso alla sua sedia e non appena giunge nella fila riservata alle autorità stringe solo e soltanto la mano Di Maio. Con la Trenta si guardano negli occhi ma non c’è nemmeno un accenno di saluto. Segno che le ferite non si sono ancora rimarginate.
Saranno 47 minuti di gelo. Con Salvini che più di una volta parlotta con il collega Di Maio, scherzando come se fossero due eterni compagni di banco. E la ministra della Difesa che non si scompone mai e guarda fisso la banda del corpo di Polizia Penitenziaria. Unica distrazione: una brevissima chiacchierata con il collega Fraccaro. Saranno appunto 47 minuti di gelo che sembreranno un’eternità .
Con Salvini che può solo parlare con Di Maio perchè alla sua sinistra ironia della sorte c’è Mara Carfagna, la berlusconiana vicepresidente della Camera che mal sopporta il Capitano della Lega. Dunque, il leader del Carroccio è chiuso in una morsa. O sussurra qualcosa all’orecchio del vicepremier pentastellato. O monitora il suo iphone per cercare di distrarsi.
A pochi passi c’è colei che lo ha punzecchiato in un’intervista al Corriere: “Quello che sta accadendo sui migranti si sarebbe potuto evitare. Lo avevo detto a Salvini”. E quest’ultimo poche ore prima a replicare così: “Il lunedì mattino mi alzo contento, altri un po’ nervosetti”.
E menomale che c’è appunto Di Maio. Il compagno di banco del quale si fida. Al punto che quando il capo politico dei cinquestelle inizia a dialogare sottovoce con Alfonso Bonafede sembra quasi che Salvini sia geloso.
Ecco, sta tutto attorno a queste immagine lo stato di salute dell’esecutivo gialloverde. Il ministro dell’Interno ignora volutamente la ministra della Difesa. Ma mostra complicità nei confronti del vicepremier grillino.
Si regge qui l’equilibrio del governo “del cambiamento”. E quando passano finalmente 47 minuti e l’applauditissima banda del Corpo Polizia penitenziaria lascia la piazza, Salvini stringe forte, ancora una volta, la mano a Di Maio e se ne va. Ignorando la collega Trenta. E non importa se alla domanda del cronista sul grande gelo, Salvini dissimuli così: “Ma no — sorride — ho un impegno urgente”.
Il grande gelo c’è. E chissà ancora per quanto tempo.
(da “Huffingtonpost”)
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