I SOVRANISTI SE NE FREGANO PURE DELLA PAR CONDICIO: NEI TALK RAI, IL GOVERNO POTRA’ PARLARE SENZA LIMITI
SEMPRE PIU’ VERSO UN REGIME ORBANIANO CON BAVAGLIO ALLE OPPOSIZIONI
Alla faccia della par condicio. Sulle reti Rai ministri e sottosegretari del governo Meloni saranno liberi di scorrazzare per i talk senza sottostare ad alcun vincolo di tempo né di contraddittorio. Potranno fare monologhi e improvvisare comizi catodici, stare in studio da soli con il conduttore o anche in compagnia di colleghi della medesima coalizione, basta che parlino della loro attività istituzionale — il ponte sullo Stretto nel caso di Matteo Salvini; gli ultimi provvedimenti dell’esecutivo, la premier — e il gioco è fatto. Da trent’anni in qua una forzatura senza precedenti: dacché fu cioè varata, nel lontano 1993, la prima legge di sistema per garantire parità di trattamento a tutte le forze politiche in campagna elettorale.
In limitar della notte l’emendamento alla delibera della Vigilanza che avrebbe dovuto recepire il dispositivo dell’Autorità garante per le Comunicazioni sulla par condicio — scritto nelle stanze di Palazzo Chigi dal sottosegretario Giovanbattista Fazzolari e presentato da Fratelli d’Italia, Lega e Noi moderati — passa con i soli voti della maggioranza fra le proteste delle opposizioni. Stabilisce «la necessità di garantire», nei programmi di approfondimento giornalistico, «una puntuale informazione sulle attività istituzionali e governative». Il varco dentro cui potranno infilarsi — senza incontrare alcun limite — i principali candidati alle prossime Europee, se si considera che sia Giorgia Meloni, sia Antonio Tajani, oltre forse a qualche altro ministro del centrodestra, correranno per un seggio a Strasburgo.
Inascoltate le proteste della minoranza, che ne aveva chiesto a più riprese il ritiro. E pure le obiezioni di Forza Italia, che inizialmente si era messa di traverso, convinta che una tale “innovazione” avrebbe favorito gli alleati, forti di un peso e di una riconoscibilità maggiori all’interno della squadra ministeriale: a parte Tajani agli Esteri, gli azzurri hanno infatti Alberto Zangrillo, Gilberto Pichetto Fratin e Annamaria Bernini, non proprio richiestissimi dai talk. Ma l’ostruzionismo interno è durato poco. Alla fine anche i berlusconiani hanno dovuto piegarsi al diktat calato dai piani alti di FdI.
«Un grave strappo: non c’è stata nessuna volontà da parte della maggioranza di trovare una mediazione possibile», tuonano gli esponenti del Pd in Vigilanza capitanati da Stefano Graziano: «C’è stata invece la volontà di far esondare il governo durante la campagna elettorale eliminando il motivo stesso per cui esiste la par condicio. Cioè si vuole comprimere la voce dell’opposizione e allargare quella della maggioranza, utilizzando il governo, che non viene conteggiato». Sulla stessa linea il M5S, che per tutta la giornata — attraverso la presidente della Commissione Barbara Floridia — si era speso per trovare un compromesso: «La maggioranza se n’è infischiata dei nostri appelli e ha votato l’emendamento Filini, che stravolge la delibera azzoppando i presidi della par condicio», denunciano i parlamentari grillini. «Quando vogliono approvare qualcosa che gli interessa procedono come schiacciasassi rifiutando ogni tipo di mediazione». Un emendamento che per il verde Angelo Bonelli «sancisce l’occupazione del governo e della maggioranza degli spazi Rai. Cucito su misura delle candidature della premier e dei ministri come Tajani. Una vera vergogna».
E ora, che cosa succederà? Difficile che l’Agcom possa far propria una forzatura del genere. Dunque per le reti private le regole saranno più restrittive, mentre in Rai impazzerà TeleMeloni.
(da agenzie)
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